“Se tua figlia s’innamora di un drogato”. Lo sfogo di Ballarin

Il padre della giovane accusata di favoreggiamento nell'omicidio di Mariangela Pezzotta, scrive una lettera aperta alla "Padania"

Nella riunione del lunedì mattina, quella che facciamo ogni settimana in redazione, tutti seduti attorno a un tavolo siamo tornati sul caso della ragazza uccisa a Golasecca. «Ma il papà della diciottenne è tornato dall’Africa?» qualcuno ha chiesto, e il collega che si è sempre occupato della vicenda ha risposto «No, è ancora là. Deve rispettare dei contratti». 
Chiaro che non poteva mancare qualche reazione "scandalizzata" : ma come? – qualcuno di noi ha pensato e poi ha detto – sua figlia diciottenne è accusata di favoreggiamento in un omicidio e lui resta a lavorare? 
Sfogliando "La Padania" questa mattina abbiamo avuto tutte le risposte che stavamo cercando. E anche una bella lezione di vita. 
Alberto Ballarin, padre di Elisabetta, giornalista del quotodiano leghista, ha scritto al "suo" giornale una lunga lettera in cui racconta come sua figlia è finita tra le braccia di uno che amava la droga e i serpenti boa e soprattutto cerca di spiegare come è cambiata la sua vita. Come si sente. Parole che non chiedono pietà, lucide anche se angosciate. 

«Devo scusarmi per non averti scritto prima – dice a Gigi Moncalvo, il direttore della Padania – ma, come si dice in casi del genere, "ero fuori di testa". Come può capitare ad un padre giusto ed equilibrato nello scoprire attraverso lo schermo di "Rai International" che la sua unica, adorata figlia femmina di diciotto anni è sicuramente cocainomane e addirittura coinvolta nell’omicidio di una giovane donna di 27 anni. Non è stato un colpo, ma una mazzata, di quelle che si davano un tempo agli animali al mattatoio per ucciderli. Ed infatti parte di me è morta in quegli istanti tremendi, mentre sul piccolo schermo scorrevano le impietose immagini della mia modesta casa, uno chalet in legno tra i boschi di Golasecca Pineta». 

Poi il racconto di quando "Lillybeth", questo il soprannome che Elisabetta aveva ricevuto dall’amico e collega di Ballarin Gianni Brera, gli presentò per la prima volta Andrea Volpe, il giovane tossicodipendente con l’ambizione di diventare musicista (che peraltro il giornalista nella lettera non chiama mai per nome)
«Sono quasi tre anni che Elisabetta ha incontrato quel mostro………Dicono che sia la prima impressione quella che conta ed io subii un piccolo shock nello scoprire l’essere di cui mia figlia si era innamorata. Un viso lungo da sacrista spagnolo del Goya, con borchie luccicanti infisse nella guancia destra e sotto il labbro, capelli lunghi e barba-baffi trascurati, da artista impegnato che si scorda spesso di fare la doccia . E tatuaggi un po’ ovunque……Sai quale animaletto amava e portava con sé? Un serpente, diamine, un viscido piccolo boa marroncino, cui ammanniva per pasto deliziosi topolini vivi». 
Ballarin racconta che cercò di portare via sua figlia, lontana dal "mostro" che lei chiamava "il suo amore infinito". Città del Capo, Capo di Buona Speranza la pesca delle aragoste, le isole delle foche, ma niente. 
L’ex moglie del giornalista fa anche di più: porta Elisabetta da uno psicologo, butta fuori di casa il ragazzo che le ruba soldi e gioielli. Ma alla fine si arrende. 
Al rintocco dei 18 anni Elisabetta si porta  il fidanzato nella casa di Golasecca. «Sino a dicembre – racconta Alberto Ballarin –  quando partii per l’Africa per questo lavoro che sto terminando, abitarono a Golasecca. Pagavo luce, gas,  telefono….prima di partire parlai a quattr’occhi con lui, calmo e conciliante come a volte riesco ad essere». 
Ballarin spiega ai due ragazzi che al suo ritorno vuole sapere che cosa intendano fare e soprattutto vuole sapere come lui manterrà Elisabetta. I due non si curano della casa, né del giardino.
«…..ti chiedo e mi chiedo: che cosa abbiamo fatto, dove e quando abbiamo sbagliato, per generare simili creature? E le nobili campagne di Aldo Forbice alla radio per salvare la adultera Amina di turno dalla lapidazione, non andrebbero alternate ad altre in cui si invitano la lapidare, massacrare di botte, infilare con forconi ardenti i corruttori, gli spacciatori, gli "untori della droga"?. No, per loro ci sono garanzie, psichiatri e psicologi, c’è una pletora di Don Mazzi che li "salva", li restituisce alla società». 

Alberto Ballarin spiega perché dal giorno del delitto non è più riuscito a scrivere per il suo giornale: «Non ci riesco più, perché un mostro che si gingilla coi serpenti che ha plagiato quella che era la mia bella e brava bambina, trasformandola in una occultatrice di cadaveri per compiacerlo, mi ha distrutto la voglia di vivere, di lavorare». 
Ma il giornalista, che oltre a scrivere si occupa di regie cinematografiche e di grandi reportage televisivi, deve continuare l’opera cominciata in Africa, un documentario. 
«Poi vedi, ci sono gli impegni, i contratti firmati, che un disgraziato eroinomane  può disattendere, ma un onesto professionista no, deve rispettare fino in fondo. Altrimenti paga, eccome paga!…..Qui, come e più di altrove, i contratti li rispetti, oppure paghi le penali. E se le paghi dove troverai mai soldi per difendere tua figlia, perché rimane sempre tua figlia!, nelle costose aule di tribunale?»

Nelle ultime righe trovano spazio la rabbia e l’amarezza: «Gli dessero la pena di morte al tatuato sbarcato da lontane galassie, Forbice & C. balzerebbero all’unisono e "nessuno tocchi Caino!" urlerebbero a migliaia. Ed il parere, fosse possibile, del padre di Abele chi lo chiede mai?». 

Ballarin ringrazi i lettori che gli hanno testimoniato stima e dato conforto: «Dì loro che la vecchia carretta del Commodoro s’è arenata  ….tradita da una secca che ha squarciato lo scafo….. 
Ma è uno di quegli scafi di una volta, costruito in modo solido da maestri d’ascia  esperti. E presto tornerà a navigare».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 03 Febbraio 2004
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