«La guerra ha fatto irruzione nella mia vita»

La testimonianza di Pasquale Diaferia, amico e collega di Enzo Baldoni

La guerra ha fatto irruzione nella mia vita professionale, oltre che personale. "Per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti", scriveva De Andrè una trentina d’anni fa. Oggi, mi sento parecchio coinvolto. Alla fine di Luglio rispondevo ad Enzo Baldoni, mio collega copywriter, oltre che moderatore della lista della nostra associazione, l’Art Directors Club (www.adci.it), che avevo ricevuto la sua mail in cui annunciava la partenza per Bagdad.
«Mi sa che stavolta la stai facendo fuori dal vaso», era il mio commento da amico, che conosceva la sua passione estiva per il grande giornalismo d’altri tempi. Sapevo che da tempo stava lavorando ad un libro sui guerriglieri, tipo quello di Pino Cacucci, Ribelli. Mancava solo un tassello: una bella intervista al capo di uno dei tanti gruppi di resistenti iracheni, quelli che si erano rifiutati di obbedire al "Mission Accomplished" esibito sulla portaerei dal presidente George Double Iu. Intuivo che però si trattava dell’impegno più rischioso, in una terra non ancora normalizzata, per quello che può voler dire questa insipida parola del gergo militare. "Palle fredde" mi rispose, con la sua tipica espressione da moderatore, per riportare la calma, nella vita vera e in digitale. Qualche giorno dopo, prima di partire per il mare, ho fatto in tempo a leggere una della sue prime corrispondenze. Si intitolava "Ci sarà figa a Bagdad?"

Ho sorriso ed ho pensato: «Il solito pirlacchione». Era l’affettuosa constatazione che la sua capacità di alleggerire qualunque situazione era assolutamente non scalfita.
Ovviamente mi ha dato fastidio scoprire che qualche collega giornalista, dopo la sua morte, l’abbia ufficialmente definito allo stesso modo. Il fatto è che ingenuità, infantilismo, innocenza e leggerezza sono le doti di un pittore, di un attore, di uno scrittore, di un cineasta, di un poeta. Sono le doti di un creativo. Sono un valore inestimabile, sono quello che si chiama talento. Unico, irripetibile. Non stupisce che in epoca di guerre e miliardi, di bandane e panzane alcuni valori perdano valore. Non stupisce che un creativo venga definito, appunto, "pirlacchione". E che le iniziative per cercare di liberarlo si siano limitate al commento governativo "è un problema della Croce Rossa".

Mi sento parecchio pirlacchione anch’io in questi giorni. Ho visto come si è mosso il Governo francese. Per i suoi "cittadini giornalisti" il premier Chirac è sceso in campo, ha fatto correre il suo responsabile degli esteri, ha stretto legami che hanno portato ad una presa di posizione nettissima della comunità islamica francese. Probabilmente Oltralpe Enzo sarebbe stato difeso tre volte più intensamente: oltre che come giornalista, anche come "cittadino uomo di pace" e "cittadino creativo".

La guerra ha invaso la mia vita, non solo professionale. Da oggi lo so. Sono anch’io un pirlacchione, un creativo, un pubblicitario con in tasca la stessa tessera verde dell’ordine dei Giornalisti che aveva Enzo, ripetutamente inquadrata dalla telecamera dei terroristi. In questo paese il valore del mio talento, sicuramente inferiore a quello di Enzo, è considerato nello stesso modo. Cioè poco.
L’unico mio pregio, sicuramente, è quello di passare le vacanze con i miei bambini al mare. Non sono uno di quei free lance pirlacchioni, che vanno in giro a domandare, ed a domandarsi, per quale ragione un uomo può decidere di imbracciare un mitra ed è solo per questo che io sono qui a scrivere, comodo e ben abbronzato. Ma devo ammettere, non è una gran consolazione.

Pasquale Diaferia
spec01@www.specialteam.it

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Pubblicato il 04 Settembre 2004
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