Varese poco radioattiva, lo dimostra una tesi dell’Insubria
Con uno studio che non ha precedenti, una studentessa di Malnate si è laureata in fisica analizzando il livello di radon presente nel suolo e nei cementi usati nell’edilizia
Una casa radioattiva? Non nella Regio Insubrica. La verifica è stata fatta da una studentessa della facoltà di fisica a Como che ha analizzato una serie di materiali da costruzione. La tesi “Misura ed analisi della concentrazione di radionuclidi naturali in materiali da costruzione utilizzati nell’area comasca” è valsa alla malnatese Erica Andreotti la segnalazione da parte dell’Arpa Lombardia, come uno dei 4 migliori lavori realizzati negli atenei lombardi nell’ambito del concorso intitolato alla memoria di Annamaria Rapetti, Alessandra Santonocito e Marco Teggia Droghi.
Lo studio effettuato da Erica rappresenta una delle poche indagini su questo tema compiute a livello locale in Italia dove, ad oggi, non esistono dati sistematici sulle concentrazioni di radionuclidi e sulle quote d’uso dei diversi materiali.
Nel concreto, la neo dottoressa varesina ha condotto uno studio introduttivo al problema della contaminazione da radon nel comasco, focalizzato in particolare sul contributo dei materiali da costruzione nello sviluppo di questo gas tra le pareti domestiche: «Il pericolo c’è in presenza di grossi quantitativi di radon – spiega Erica Andreotti – quindi abbiamo analizzato il terreno su cui si costruisce e 11 tipi diversi di cemento».
Le verifiche effettuate hanno dimostrato che il comasco e, per analogia geologica il varesotto, non presentano elevate concentrazioni di elementi radioattivi come, viceversa, avviene in Centro Italia dove è abbondante il tufo e la pozzolana.
La ricerca era finalizzata alla scoperta di “radionuclidi” presenti nel radon (Rn), gas radioattivo generato dal “decadimento” di elementi quali uranio, o nel torio e nel potassio.
È stato scientificamente provato che l’esposizione a quantità elevate di questo gas inodore, insapore, incolore ha effetti fortemente dannosi sulla salute: si stima che sia responsabile negli Stati Uniti del 10% dei casi di tumore polmonare, in Italia del 5-20%.
Il radon viene infatti inalato durante la respirazione e, raggiunti i polmoni, decade emettendo radiazioni ionizzanti, responsabili dei gravi danni ai tessuti.
Il valore medio mondiale di radon “indoor” è stimato intorno ai 40 Bequerel/m3. La media italiana supera tale valore arrivando a 77 Bq/m3. In rari casi la concentrazione di questo gas radioattivo in ambienti chiusi arriva anche a 1000 Bq/m3.
Erica ha lavorato all’interno del Laboratorio Sotterraneo del Baradello, all’interno della caverna scavata dall’ACSM S.p.A. (Azienda Comasca Servizi Municipali) sotto la montagna omonima, dove si trova l’acquedotto comunale di Como. Ha condotto le analisi con uno “spettroscopia gamma” e si è avvalsa del sistema per misure a basso fondo radioattivo messo a punto all’interno della stessa Università dell’Insubria
«Abbiamo ottenuto dati confortanti – spiega Erica – Il rischio di esposizione alle radiazioni, e al radon in particolare, dovuto ai materiali edilizi esaminati, è limitato e paragonabile ai livelli di radioattività comunemente riscontrati nell’ambiente. Il nostro territorio ha basse concentrazioni di radionuclidi. Così, anche i materiali per l’edilizia fabbricati nelle nostre zone sono hanno basse concentrazioni».
Archiviata con grande soddisfazione la tesi, Erica Andreotti prosegue nel suo lavoro di ricerca: «Sto iniziando il dottorato. Chiaramente il mio obiettivo accademico avrà una valenza di ricerca fondamentale. Ma non voglio interrompere questo studio che continuerà con l’analisi di altri settori di interesse ambientale».
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