Quell’Etiopia fascista che non ti aspetti

Intervista allo storico Enzo Rosario Laforgia curatore del libro sul reportage di Curzio Malaparte (Vallecchi) in Etiopia e pubblicato nel ’39 dal “Corriere della Sera”. Presentazione alla Libreria Feltrinelli di Firenze

curzio malaparte

Ricorda il leggendario taccuino moleskine: il formato rettangolare, la copertina telata e gli angoli arrotondati. La collana “Off the road” della casa editrice Vallecchi è destinata ai classici dimenticati o inediti, firme note di veterani di viaggio che raccontano le loro esperienze. In questa  collana raffinatamente povera, tascabile, adatta per chi viaggia, è stato pubblicato il libro “Viaggio in Etiopia e altri scritti africani” di Curzio Malaparte, un reportage che lo scrittore fece nella colonia fascista nel 1939 per conto del “Corriere della Sera”. Curatore dell’opera è lo storico varesino Enzo Rosario Laforgia.

Laforgia, come mai Curzio Malaparte compie questo reportage?
«Malaparte era stato messo in carcere, condannato e confinato dal fascismo. Quindi questa era un’occasione per riabilitarsi. Già Dino Buzzati, nel 1939, fa un reportage per sostenere una coscienza imperialista. Il “Corriere della Sera” li ha sostenuti entrambi. Malaparte in quel periodo ha anche bisogno di soldi e pubblica, non firmandoli, degli articoli sull’argomento anche su altre testate, ad esempio su “Oggi”».

Che cosa pensa lo scrittore della gente del luogo?
«Malaparte va in Etiopia per descrivere l’effetto della colonizzazione. Da un lato rimane affascinato dalla modernizzazione dei luoghi operata dal fascismo, dall’altro rimane colpito dal paesaggio e dalla riproposizione del modello rurale strapaesano che a lui piaceva tanto. La cosa interessante è che lui sostiene una comune radice cristiana, posizione presente in un articolo comparso su “Oggi” dal titolo “L’uomo bianco”».

Che tipo di colonizzazione è quella fascista?
«La strategia del fascismo era particolare: spostare gente dall’Italia verso l’Etiopia. Ad esempio, esistono una Romagna d’Etiopia, una Puglia d’Etiopia, ovvero enti che avevano personalità giuridica  e gestivano finanziamenti. Malaparte inizialmente parlerà di “Impero bianco” che è l’Africa nera dopo il trattamento sbiancante della colonizzazione. Il primo articolo s’intitola “L’Africa non è nera”, che doveva essere il titolo del reportage».

Dal punto di vista della scrittura e dello stile questi articoli hanno qualcosa di particolare?
«Questi scritti non erano mai stati studiati prima e soprattutto non erano mai stati messi in relazione con il resto dell’opera dello scrittore. Io credo che questo reportage  sia una tappa fondamentale per Malaparte come esperienza di scrittura. Uno stile che si ritroverà ad esempio nel libro “La pelle”. Quello che lui scopre è lontano da quello che si aspettava. Parla di “superamento della soglia di civiltà”, tanto da sviluppare uno stile che lui stesso definisce surrealista. Inoltre, per la prima volta durante il fascismo, si scrivono articoli dove si raccontano operazioni contro i ribelli. Per quel tempo è un fatto originale. L’altra cosa interessante sono i rapporti tra lo scrittore e il grande giornale».

Che tipo di rapporto aveva Malaparte con il “Corriere della Sera”?
«Lui era già famoso e aveva un seguito di lettori. Con il “Corriere della Sera”, di cui era già collaboratore fisso, aveva un’esclusiva anche se era un personaggio molto scomodo. E per quel tempo aveva un contratto eccezionale. Era infatti stato pagato per una parte subito, la restante parte dopo la pubblicazione. Ci metterà sei mesi a consegnare gli articoli sul viaggio in Etiopia. Dal  gennaio del ‘39 gli articoli verranno pubblicati solo a maggio, probabilmente Malaparte era preso da altri interessi».

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Viaggio in Etiopia e altri scritti africani di Curzio Malaparte

A cura di Enzo Rosario Laforgia
Vallecchi
Firenze 2006
collana “Off the road”

pag. 238

euro 9

Michele Mancino
michele.mancino@varesenews.it

Il lettore merita rispetto. Ecco perché racconto i fatti usando un linguaggio democratico, non mi innamoro delle parole, studio tanto e chiedo scusa quando sbaglio.

Pubblicato il 13 Novembre 2006
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