«La nostra mafia queste cose non le faceva»
Commenti durissimi, tra rabbia e xenofobia, dei concittadini delle due donne aggredite e rapinate
A Magnago, pochi chilometri da Busto, non si parla d’altro che della brutale aggressione subita martedì sera dalle titolari del bar Lino, l’anziana signora M., 77 anni, e la figlia N., 40 anni. La stampa è già in agguato dalla mattinata, con telecamere e macchine fotografiche: all’interno del bar Debora e Maurizio, i giovanissimi nipoti delle due vittime, scossi e pallidi, servono i clienti che continuano ad arrivare, rispondendo a monosillabi ai pochi che osano fare domande. Dentro, la solita quieta atmosfera di un bar ricevitoria, con televisione accesa a basso volume, un paio di macchinette mangiasoldi, i sistemi vincenti del lotto ancora esposti, e tanti stranieri, per lo più giovani, che entrano ed escono. «Cosa si fa, si tira avanti» esala triste Maurizio, per nulla intenzionato a parlare: e lo si può, lo si deve capire. Il telefono squilla ogni due minuti: giornalisti? Conoscenti? Non lo sapremo mai. Chiedono tutti delle condizioni della nonna, ancora ricoverata in ospedale dopo le botte dei criminali.
Fuori c’è poca gente, clienti abituali che chiacchierano in un’atmosfera di rabbia impotente, paura, angoscia, galoppante xenofobia. «Perchè hanno concesso a tutti questi stranieri di venire qui?» avvia il coro un anziano avventore in bicicletta. «Bisogna chiudere le frontiere» dice un altro. Sale anche il desiderio di vendetta tra la gente: «In questi casi, se si ha un fucile e si vede una scena del genere, bisogna ammazzarli tutti» sbotta un altro. «Qui entro cinque anni ci ammazzano tutti di botte, ci odiano questi delinquenti stranieri, ci odiano per quello che abbiamo e che ci siamo guadagnati col duro lavoro» denuncia un siciliano che vive da quasi mezzo secolo a Magnago.
La paura è tanta, perchè negli ultimi mesi, persino negli ultimi giorni, raccontano, si è avuta notizia di vari episodi di rapine e "spaccate" ai danni di bar e pizzerie con violenze e pestaggi agli esercenti, avvenuti in tutta la zona: da Villa Cortese a Vanzaghello, da Bienate a Robecchetto. Un fenomeno addebitato a bande di stranieri. «Secondo me è gente che voleva vendicarsi della madre, che spesso alzava la voce con quelli che bevevano o davano fastidio. Bisogna cambiare le leggi, se anche li prendono cosa gli faranno mai? Dopo poco, tornano in giro» lamenta il padre di un vigile urbano in servizio in città.
E proprio i vigili urbani sono tra i bersagli delle lamentele dei residenti. Non danno la sicurezza desiderata, si osserva: ma si sa anche che, in pochi, non possono certo garantire l’ordine pubblico. Neppure i carabinieri sembrano un presidio sufficiente. «Qui il sabato, dopo le cinque del pomeriggio c’è da aver paura. I vigili, anche a chiamarli, spesso non sono in grado di arrivare in tempo; idem i carabinieri. Ad Arconate hanno messo all’opera le ronde private, proviamo anche qui» propongono le addette al negozio di fiori all’angolo. E a maggio, qui, si vota: il sindaco è avvisato.
«Questi sono cattivi dentro, non si sono limitati ad arraffare i soldi e sparire, hanno picchiato un’anziana e stuprato sua figlia sotto i suoi occhi» proseguono «è gente che non ha nulla da perdere, senza lavoro, senza arte nè parte». «Almeno la nostra mafia certe cose così, gratuitamente, non le faceva» aggiunge una passante: beata ignoranza. All’altro lato della strada l’edicolante, accortosi del taccuino e della penna, svicola senza proferire verbo. Andando via, un funerale ci taglia la strada: sembra quello della fiducia nel prossimo. Ma ci attende un altro funerale, quello della campagna. Rientriamo a Busto per la zona industriale: da Magnago a Sacconago ci saranno cento metri di strada nel verde agricolo, il resto sono capannoni su capannoni. La "provincia" è tornata "città", eppure non si nota la differenza, è la stessa megalopoli sazia e disperata, ostaggio di un pugno di delinquenti e delle sue ataviche paure.
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