Ad Atene.. per riprendersi la coppa

Il racconto di una testimone della grande notte rossonera

Prima di partire, un solo pensiero: rivincita. Per quella Istanbul che, due anni dopo, ancora brucia.

 

Ad attendere i rossoneri ad Atene, oltre che ad un tempo incerto, una fiumana infinita di tifosi del Liverpool. Per chi scende alla fermata della metropolitana dell’Acropoli, un solo pensiero: “Ma quanti sono….”. Perchè il rapporto tra inglesi e italiani, sotto il Partenone, è un preoccupante 10 a 1. Nelle piazze, le tipiche casette bianche ateniesi inneggiano a “El gerrardo” e ad Alonso, con i bar trasformati in quartieri general degli inglesi, con l’immancabile boccale di birra in mano. Seduti, i reds aspettano ormai da domenica la loro finale, la loro “riconferma”. La domanda sorge spontanea: “Perchè sono così tanti?” In fondo lo stadio olimpico di Atene ha 79.000 posti, e per quanto la sterlina sia più forte, non è possibile che tutti i biglietti siano stati venduti a loro. Non tutti, ma quasi; il popolo del Liverpool però, è talmente affezionato alla sua squadra da seguirlo in trasferta… anche senza biglietto.

Quindi, avvisati della situazione, noi milanisti in giro turistico per la città (perchè ad Atene, non puoi non visitare il Partenone!!!) ci teniamo stretto il nostro tesoro, sorridiamo a tutte le maglie di Gerrard che incontriamo, ripetendo a noi stessi che “pochi ma buoni” è sempre meglio, e sapendo che in fondo, noi siamo venuti qui per portarci a casa la coppa.

L’atmosfera per la città è di festa, di amicizia e di voglia di vedere una bella partita, di rivalità ma solo sportiva, senza episodi di violenza o di tensione. Nonostante la superiorità numerica, e del tasso alcolico, i famigerati “hooligans” più che dar lavoro alle mani hanno dato fiato alla bocca: l’intero centro di Atene risuonava dell’inno “You’ll nevere walk alone”, cantato da tutti i Reds, con un corragioso accenno qua e là di “Siamo venuti fin qua, siam venuti fin qua per vedere segnare Kakà”.

Il tempo passa, e verso le sette ateniesi, le sei italiane, la tensione inizia a salire. I bar si svuotano, e tra il fuggi fuggi generale si cerca di salire sul treno per Irini, la fermata dello stadio olimpico, a mezz’ora dal centro.

Il tempo non migliora, ma nel vagone la temperatura è alta. Per il numero di persone schiacciate al suo interno, ma anche per la situazione di noi poveri milanisti: 10 rossoneri, contro 180 reds nella stessa vettura. Per trenta minuti. L’occhio cade subito sulle casse di birra nelle loro mani, e per la prima volta c’è la paura dello scoppio di una scintilla: ma, dopo poco, si capisce che la guerra si ci sarà… ma dei cori. Ovviamente vincono gli inglesi, ma onore agli italiani, che hanno fatto sentire la loro voce urlando tutto il tempo, senza mollare mai. Un viaggio particolare, ma la stretta di mano tra rossoneri e reds all’uscita della metropolitana, con tanto di “Good luck”, sottolinea molto la sportività delle due tifoserie.

Allo stadio, gli inglesi sembrano sempre di più: ma finalmente, parlando con dei padovani come noi alla disperata ricerca dell’entrata giusta nell’enorme confusione, scopriamo che quasi tutti i tifosi sono giunti direttamente allo stadio dall’aeroporto.


E nell’olimpico, l’impressione visiva già cambia: certo, i tre quarti dello stadio sono sempre rossi, ma ci siamo, siamo tanti, e ci facciamo sentire. La polizia è poca, le tifoserie sono attaccate l’una all’altra, ma nessuno sembra preoccuparsi: in fondo, lo scontro che si vuole vedere è in campo.

La partita tutti sappiamo com’è andata, un po’ noiosa, ma la Coppa alla fine la alza capitan Maldini, tra il tripudio dei diavoli e lo sconforto degli inglesi.

Il popolo milanista rimane fino alla fine a festeggiare i suoi eroi, mentre i reds riprendono mestamente il trenino per affogare il dispiacere nella birra con un buon souvlaki. Noi, ci godiamo fino all’ultimo il nostro Super Pippo che corre da una parte all’altra del campo, Kakà che si inginocchia dalla felicità, e Ancelotti osannato dai suoi ragazzi.

Ma all’una, anche per gli italiani è ora di lasciare lo stadio. E si ritorna nella città, per sedersi al bar, esausti e felici, ma comunque sempre circondati dagli inglesi; i più sportivi applaudono gli sporadici milanisti, gli altri osservano il nostro esultare con sguardo invidioso. E anche nel dopo partita, pochi problemi, clima disteso e solo voglia di rilassarsi.  Da un red abbattuto, compriamo una copia della coppa, che lui e i suoi amici avevano creato in onore di Istanbul: ci sembra doveroso riprendercela, un piccolo trofeo con cui farsi fotografare per dire “C’ero anch’io”, e per ricordare questa serata per sempre.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 24 Maggio 2007
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