Truman Capote era un genio. E lo sapeva

Che differenza c’è tra “battere a macchina” e scrivere? Che differenza c’è tra leggere il testo di una canzone e interpretarlo sino a farlo diventare uno stupefacente concentrato di arte e stile? Che differenza c’è tra una notizia di cronaca nera e A sangue freddo?

La differenza sta tutta nel Genio, in grado di prendere «qualcosa di molto ordinario» e trasformarlo in «opera d’arte».

Truman Capote era un genio. O almeno questo era ciò che pensava di se stesso.

Scandaloso, eccentrico, brillante, sferzante, snob, è stato comunque uno dei più importanti scrittori americani del secondo Novecento. Precocissimo nello scrivere («Scrivere era l’unica cosa che gli interessava», dichiarò la sua insegnante di inglese del liceo), ma non prolifico come molti suoi colleghi, il suo nome resta legato a quel lavoro straordinario, A sangue freddo (1965) appunto, e al romanzo breve Colazione da Tiffany (1958).

Indiscussa fu la sua capacità di manipolare il linguaggio, sulla pagina scritta e nell’eloquio pungente:

«Ho sempre saputo che ero in grado di prendere un qualsiasi grappolo di parole e di lanciarlo in aria per poi vederlo ricadere nel modo giusto. Sono il Paganini della semantica.»

In questo libro sono raccolte le conversazioni che Grobel ha intrattenuto con Capote tra il 1982 ed il 1984, anno della morte dello scrittore. Capote parla della sua infanzia difficile, dell’amore e del sesso, delle sue opere maggiori e del mestiere di scrivere, del cinema, con il quale intrattenne una stretta collaborazione (sino alla sua partecipazione, come attore, al film Invito a cena con delitto).

Non si sottrae alle domande che riguardano l’uso e l’abuso di alcool e droghe (pare le abbia provate tutte ad eccezione dell’eroina) o a quelle sulla religione: Cosa ne pensa del credo cattolico? Accetta l’idea del Cristo e dell’Immacolata concezione? «No. Mi piace solo lo spettacolo. È meglio dello Studio 54.»

Non mancano i giudizi caustici per i quali fu famoso (e odiato) in vita: Ultimo tango a Parigi? «L’ho trovato piuttosto disgustoso.» W.H. Auden? «Era un bastardo dispotico.» André Gide? «Un vecchio cialtrone.» Gore Vidal? «Non ha mai scritto niente che verrà ricordato da qui a cinquant’anni.» Mick Jagger? «Noioso.»

Consumò i suoi ultimi anni tra serate mondane, droghe, medicinali e alcool. Già nel 1978, ospite di un popolare show televisivo, aveva impudentemente dichiarato di consumare «una specie di cocktail» con vodka, valium ed altri farmaci. Uno di questi “cocktail” lo avrebbe stroncato all’età di sessant’anni. Come ebbe a dire il suo esecutore testamentario: «Truman è morto di tutto, è morto di vita, per averla vissuta fino in fondo». E dopo essere disceso all’inferno parecchie volte.

La grandezza e l’attualità di Capote vanno ricercate oggi proprio nella sua opera maggiore, con la quale inaugurò il nuovo genere della «non-fiction novel», il romanzo-documento. Genere che sembra tornato a rivivere di nuova vita, rilanciato in Italia e nel mondo da Roberto Saviano con il suo Gomorra.

 

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Lawrence Grobel,
Colazione da Truman. Incontri con Capote,
[traduzione di Lucio Carbonelli]
Roma
minimum fax
2007
p. 269
Euro 11,50

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A proposito
«Niente ottiene successo come l’eccesso.»
Oscar Wilde.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 22 Maggio 2007
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