“Ogni giorno dopo pranzo aspettavo il mio amico Rodari”

Bruno Brovelli, il "Brunin", racconta la sua amicizia con lo scrittore che nel 1940 insegnò alle scuole elementari del paese: «Era intelligente, curioso e con una grande dote: sapeva ascoltare»

Ottantasette anni portati con disinvoltura e una vita trascorsa a stretto contatto con la sua più grande passione: il lago. Non basterebbe un libro per riportare gli aneddoti che ha da raccontare Bruno Brovelli, il "Brunin", uno degli ultimi pescatori di Ranco ma anche la memoria storica del paese.
Dalla sua casa in Piazza Venezia, il cuore del piccolo comune, controlla tutto quello che accade. Tra le sue storie c’è quella del suo avo che, per aver salvato una nobildonna spagnola, ha ricevuto la prima concessione dell’uso civico di pesca. Ci sono poi le sue reti che in un giorno di vento sono arrivate fino a Laveno e c’è la volta che "con il suo socio" ha pescato una trota di cinquanta chili e quell’altra che dopo una giornata in barca ha catturato un luccio che ne pesava ventitre. Tra tutto ciò ci sono anche dei ricordi, che il passare degli anni non ha intaccato, di una persone "davvero fuori dal comune", Gianni Rodari. "Il maestro Rodari", come lo chiama ancora oggi "il Brunin".

Brovelli, come ha conosciuto lo scrittore?
«Mia madre era la bidella della scuola, in realtà faceva un po’ di tutto perfino suonare le campane… Lui tra il 1940 e il ’41 ha insegnato qui a Ranco e ci siamo conosciuti così, avevamo la stessa età e abbiamo stretto subito una sincera amicizia».
Che ricordo ha di Rodari?
«Ne ho molti, anche se di anni ne sono passati. Ci vedevamo subito dopo il pranzo, quando lui finiva le lezioni. Io ero a casa perchè di ore sul lago ne avevo già fatte molte, mi svegliavo alle tre del mattino per uscire in barca e allora aspettavo che Rodari passasse da casa mia».
E che cosa facevate?
«Andavamo a osservare i pescatori e a fare quattro chiacchiere, si parlava un po’ di tutto».
L’ha mai portato a pescare con lei?
«No ma qualche volta siamo usciti in barca. Era una persona molto curiosa, di un’intelligenza particolare, diversa dalle altre. Mi ricordo che voleva sapere com’era la vita sul lago, aveva sempre qualche domanda da fare».
Di che cosa parlavate?
«Di tutto. Sa che cosa mi piaceva di lui? La sua disponibilità ad ascoltare gli altri, è una dote rara nelle persone. Con noi parlava della vita quotidiana ma quando si trovava con mio padre, che aveva ideologie socialiste simili alle sue, restava a lungo a discutere di politica. Era il 1940, gli anni del fascismo. E sia lui che mio padre ne avevano di cose da contestare…»
E che cosa si ricorda di quelle chiacchierate?
«Le ascoltavo un po’ a distanza, preferivo non intromettermi… Parlavano di politica, quando la libertà di parola non era quella che intendiamo ora e lo facevano sempre in modo pacato, Rodari non si scomponeva mai. Un giorno per provocarlo un po’ gli ho chiesto: "Maestro Rodari, lei ci va mai in Chiesa?" e lui, che stava prendendo un po’ le distanze dalla cultura cattolica in cui era cresciuto mi ha risposto sorridendo: "Qualche volta ma solo per dare uno zuccherino alla mia mamma"».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 30 Ottobre 2007
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