«La scrittura è asservita, liberiamola»

Incontro con Massimo Polello, docente di calligrafia: «Si scrive poco non per colpa del computer, ma perchè manca la cultura dello scrivere, anche nelle scuole»

La bella scrittura: un’espressione che siamo ormai abituati ad associare alla proprietà di linguaggio del romanziere o del saggista, dimenticando la sua vera radice materiale, il segno tracciato sulla carta. Un tempo la calligrafia si insegnava anche a scuola, oggi appare invece relegata al passato: eppure c’è chi porta avanti questa arte antica, come Massimo Polello (foto). Lo incontriamo da Boragno, mentre personalizza con la sua grafia dei segnalibri da regalare ai visitatori della mostra dedicata dalla cartolibreria bustese alle penne della casa di produzione Aurora.

«La bella scrittura interessa ancora molta gente» spiega Polello, torinese, classe 1970. «Lo dimostrano le vendite degli strumenti da scrittura da un lato, ma anche la numerosa frequentazione dei nostri corsi di calligrafia». Polello, appassionato sin da piccolo all’estetica del segno lasciato sulla carta dalla penna, si è perfezionato studiando presso lo scriptorium di Tolosa e con vari esperti della materia: attualmente insegna a Torino e sta aprendo con una collega un nuovo corso a Roma. «Nonostante l’avanzare delle nuove tecnologie la materia è viva, ci sono valide scuole internazionali» spiega Polello, che è presidente dell’associazione calligrafica torinese e mantiene un sito personale dedicato ala sua attività. Eppure in generale si scrive poco: quali le cause? «Se poca gente oggi scrive, io mi sentirei di assolvere almeno in parte il computer… è che non c’è più la cultura dello scrivere, anche nelle scuole mancano ormai insegnanti capaci di formare i ragazzi fin dalla più tenera età in questo aspetto». Insomma: si scriveva meglio "quando si stava peggio".

Dietro alle creazioni dei calligrafi odierni si trova una tradizione che, nello specifico dell’Occidente, affonda le sue radici nell’epoca romana. Fu infatti la corsiva romana, scrittura attestata dal secolo I avanti Cristo, la "mamma" per eccellenza di tutti i corsivi fino a quello comunemente usato d’oggi. Essa passò attraverso vari stadi evolutivi nel tempo, ricorda Polello, come la scrittura carolina e la sua evoluzione della littera antiqua rinascimentale, pilastro delle prima opere a stampa e matrice di tutti i caratteri latini a stampa usati ancora oggi. Quanto ai calligrafi odierni, «essi reinterpretano in modo originale un’eredità secolare: per loro anche un archivio è una miniera. Laddove lo storico ha bisogno di assistenza da parte del paleografo per decifrare il contenuto di un documento antico, il calligrafo è invece interessato alla forma della scrittura usata». Accumulando esperienza il calligrafo arriva al punto, «come un pittore o un danzatore», da potersi distaccare dagli stili storicamente determinati, creandosene uno personale. Con ogni strumento, su ogni materiale.

Ci sono però aspetti davvero sottili della questione. «Nelle civiltà cinese e islamica la calligrafia è stata sempre tenuta in alta considerazione come forma d’arte fine a se stessa»: meno in Occidente, dominato dalla stampa fin dal Quattrocento. «In cinese non c’è una parola specifica per dire "calligrafo": è un concetto che si assimila a quello del pittore» osserva Polello. «Il fatto è che diversamente da altre realtà, in Occidente si è sempre considerata la scrittura come al servizio di qualcosa: "solo" un mezzo per la trasmissione di conoscenza. La scrittura da noi è asservita». E Massimo Polello conduce a suo modo, tra pennini, lettere e svolazzi, la guerra di liberazione del segno scritto.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 24 Novembre 2007
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