Tragedia in barca a vela, giallo in aula
Tre anni fa Giuseppina Nicolini annegava nel mare delle isole Ionie: il compagno accusato di omicidio. Il 20 la decisione del Gup
La notte del 21 maggio 2004 Giuseppina Nicolini, detta Nicoletta, annegava nel mar Ionio nella zona di Preveza e Lefkada dopo essere caduta, ancora legata da una corda di sicurezza, dalla barca a vela Delfino Bianco, uno sloop cutter da 12 metri su cui si trovava con il compagno Pietro Colombo, proprietario dell’imbarcazione. Fu l’uomo stesso a dare l’allarme verso l’alba. Dopo le prime indagini in Grecia il sostituto procuratore Giovanni Polizzi aprì un fascicolo a Busto Arsizio ipotizzando l’omicidio volontario dopo aver raccolto una serie di elementi indiziari (ecchimosi sul corpo dell’annegata, un’assicurazione reciproca sulla vita di cui lui si trovò a beneficiare) e rilevato alcune contraddizioni nel racconto dei fatti offerto all’epoca da Colombo, noto imprenditore e appassionato navigatore, gallaratese come Nicolini.
Oggi si è tenuta di fronte al gup Luca Labianca l’udienza preliminare, che proseguirà il 20 novembre con le repliche delle parti: sarà la seduta decisiva per il proscioglimento o il rinvio a giudizio. Non sono previsti riti alternativi, come conferma Polizzi.
Per l’avvocato Cesare Peroni del foro di Gallarate, che difende Colombo, le contraddizioni rilevate dal pm non sussistono e la morte della donna è da derubricarsi a tragica fatalità. «Il procedimento non è nemmeno indiziario, perché veri indizi non ce ne sono; niente certezze, solo ipotesi, sospetti, sfociati per giunta in un’accusa dalla formulazione assai vaga» sostiene Peroni. «L’assicurazione? Il mio assistito non ha certo problemi economici». Colombo, saggiamente, si limita a poche parole sotto lo stretto controllo del proprio legale. «Nicoletta non doveva uscire dal pozzetto, solo controllare la rotta» scuote la testa.
Il pm Polizzi non si sbottona e prosegue sulla propria strada. «Nella seduta odierna ho evidenziato contraddizioni nel racconto di Colombo che meritano di essere approfondite in dibattimento» riferisce. Per il pm, Pietro Colombo non è credibile. Le ecchimosi sul corpo della donna, «in vari punti, dalla testa agli arti e alla schiena, non sono compatibili con la semplice caduta in mare dalla barca, come abbiamo provato con un esperimento giudiziale svolto a Savona un anno fa usando una barca simile a quella di Colombo e un manichino» rileva Polizzi. Il Delfino Bianco è rimasto sequestrato in Grecia, a Igoumenitsa, dal 2004: sbloccato da Polizzi con apposita rogatoria nel giugno 2005, non ha potuto essere portato in Italia a causa di un ulteriore sequestro giudiziale disposto in loco. A detta del pm Colombo vi avrebbe svolto interventi e lavori già dal giorno stesso del dramma. L’imbarcazione inoltre, stando ai dati delle ore-motore, sarebbe rimasto fermo per circa un’ora e mezza quella notte, nelle acque di Lefkada (Leucade): la descrizione del percorso compiuto tra le 19, ora della partenza da Corfù, e le 4 del mattino, ora dell’incontro con la motovedetta greca che la accompagnò a Igoumenitsa, non coinciderebbe con quanto stabilito dalla stessa capitaneria ellenica. L’approssimazione con cui le indagini furono condotte in Grecia non aiuta a chiarire il mistero.
Quanto infine all’assicurazione, accesa nel 2002-2003 con durata decennale, era stata stipulata in Svizzera dove Pietro Colombo aveva i propri conti correnti e valeva un milione di franchi svizzeri in caso Colombo o la Nicolini fossero morti. Secondo il pm Pietro Colombo, che pagava 17.000 euro l’anno di premio, si affrettò subito a riscuotere.
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