Aborto: la Lombardia decisa a cambiare le regole
Al vaglio del Pirellone i codici di autoregolemantazione attuati alla Mangiagalli e al San Paolo che vietano l'interruzione dopo la ventiduesima settimana
Meno aborti e più cultura. Il Governatore lombardo Roberto Formigoni parte all’attacco della legge 194, in questi giorni sotto accusa dopo le dichiarazioni del Cardinal Bagnasco in occasione del suo trentesimo anniversario. Al vaglio della politica milanese c’è un codice di autoregolamentazione, da estendere a tutte le unità operative, particolarmente restrittivo: aborto terapeutico permesso solo fino alla 22esima settimana, secondo quanto previsto alla clinica Mangiagalli, o alla ventunesima, se si adottasse il codice messo a punto al San Paolo dove, l’estate scorsa, nel corso di un aborto selettivo di due gemelli, venne scambiato il feto.
A decidere, inoltre, non sarà più il solo ginecologo ma un’equipe di medici, tra cui uno psichiatra, che dovrà valutare gli effettivi danni per la donna, mentre sarà vietato l’aborto selettivo in una gravidanza gemellare se mancano i presupposti di problemi fisici o psichici per la paziente.
Roberto Formigoni è convinto di poter colmare, così, un vuoto legislativo in materia causato da trent’anni di progressi scientifici, pur nel rispetto della libertà di coscienza della donna: il fattore decisivo è proprio la possibilità di far sopravvivere il feto nato alla ventiquattresima settimana nelle strutture ormai all’avanguardia in Lombardia.
In un documento al vaglio del Pirellone si punterebbe a migliorare l’informazione e la responsabilizzazione delle donne, investendo sulla contraccezione: evitando gravidanze indesiderate si riuscirà a fermare la pratica abortiva.
La Lombardia, per quanto riguarda la pratica abortiva, è la regione che conta il maggior numero di obiettori di coscienza con il 69% dei medici che non praticano l’interruzione volontaria della gravidanza.
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