Aerei inquinanti: “Svecchiare le flotte potrebbe aiutare”

Il professor Pierluigi Genevini, ordinario di Chimica Agraria all'Università degli Studi di Milano, spiega le ragioni e la portata dell'inquinamento nel Parco del Ticino

Come si capisce che una pianta o addirittura un bosco sono stati inquinati dal cherosene perso dagli aerei? E quali possono essere, se ci sono le soluzioni per risolvere o almeno alleggerire la portata del problema? A queste e a tante altre domande dà una risposta a VareseNews il professor Pierluigi Genevini, ordinario all’Università di Milano, facoltà di Agraria, l’esperto al quale il tribunale di Milano si è rivolto per studiare la situazione del bosco nel Parco del Ticino patrimonio dell’Unesco all’interno del quale i trova la Cascina Tre Pini, che dovrà essere risarcita con 5 milioni di euro da Sea e Ministero dei trasporti: «Intanto è importante capire quando gli aerei perdono il carburante, fermo restando che nessuno lo getta apposta o ci rinuncia per sfizio – spiega il docente universitario con ironia -: nei momenti di massima accelerazione e potenza, come quello del decollo, saltano i rapporti ottimali tra aria e carburante e, detto in parole povere, il cherosene entra ed esce senza che venga ossidato. Questa sostanza, usata come solvente ad esempio in Colombia per ottenere la cocaina dalle foglie di coca, cade su alberi e arbusti. Le foglie delle piante sono protette da una cuticola cellulosa che si scioglie a contatto con il cherosene: a questo punto si apre una porta a virus e parassiti vari che veicolati dalla sostanza (tossica di per sé) vengono assorbiti dalla pianta che piano piano non cresce e poi muore. È un processo non istantaneo, ma a lungo termine si hanno la necrosi e la morte delle piante, con danni ambientali enormi». La ricerca, affidata a Genevini dal Tribunale di Milano prima del 2006, è andata avanti per anni tra analisi, comparazioni e studi: «A dire il vero non ricordo nemmeno più quando mi hanno affidato l’incarico – ricorda Genevini -: in Italia c’è il pessimo vizio di chiedere un parere e poi non far sapere più nulla. La ricerca è durata però almeno 4 anni». I dati emersi hanno portato alla condanna a Sea, società che gestisce gli scali milanesi, e ministero dei Trasporti: l’inquinamento nel bosco tutelato tra Somma e Vizzola l’inquinamento è maggiore di quello registrato sulla A1 al casello di Melegnano: «In quell’area il traffico è enorme e le statistiche vengono fatte appunto per quello – spiega Genevini -. Solo che i fertilizzanti utilizzati per concimare i campi di mais a lato della strada mangiano gli idrocarburi, abbattendo di molto i livelli di inquinamento, che pur restando elevati sono minori di quelli registrati nel bosco nel Parco del Ticino, pressoché incontaminato e non coltivato». Quando gli si chiedono le possibili soluzioni, il professore universitario allarga metaforicamente le braccia, ma aggiunge: «Se la vera soluzione per l’inquinamento delle città sarebbe abbandonare l’uso di auto e camion, cosa impossibile, per quanto riguarda quello degli aerei si potrebbe cominciare ad analizzare l’età dei motori di certi apparecchi – commenta – . La ricerca ha portato ad innovazioni, minori consumi e maggior rispetto delle regole ambientali, ma ci sono mezzi che volano da decenni e inevitabilmente inquinano in misura molto rilevante. Per tenere sotto controllo la situazione o almeno sapere i livelli di inquinamento in tempo reale io consiglierei alle amministrazioni locali di approfondire l’uso del sistema foto satellitare: le foto dei satelliti civili ci sono e indicano, con le variazioni di rosso a seconda dello stato di salute delle piante, se l’ambiente sta bene o sta male. Potrebbe essere un utile sistema per monitorare il territorio».

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Pubblicato il 16 Ottobre 2008
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