Le campane del Bernascone così care a Franco Ossola
Quando il campione del Grande Torino chiamava la madre a Varese voleva ascoltare i rintocchi. Era come salutare un vecchio amico
Il rispetto per le opinioni degli altri mi è sacro e inoltre non essendo scienza infusa a volte accetto pareri inizialmente per me non condivisibili. Non ho però avuto dubbi leggendo di un cittadino sconfitto nella sua guerra personale per zittire le campane del Bernascone. Mi sono ritrovato in una larga maggioranza di abitanti del centro storico poco disposti a rinunciare a rintocchi a loro familiari, se non cari: pur rispettando l’opinione di un cittadino arrabbiato, mi ha fatto piacere essere parte della squadra vincente anche non avendone titolo alcuno, dal momento che abito a Masnago.
Il Bernascone l’ho incontrato in due piccole storie di cronaca raccontate tanti anni fa. Storie che riguardavano una famiglia amatissima da tutta Varese, quella degli Ossola, orefici in corso Moro. Una famiglia che ha dato allo sport italiano tre campioni, Franco e Luigi detto Cicci, calciatori e Aldo, cestista.
Franco, al quale è dedicato lo stadio di Masnago, giocava nel Grande Torino che nel 1949 sarebbe scomparso nella tragedia aerea di Superga.
Gli Ossola da sempre hanno il culto della famiglia ed era normale che Franco spessissimo da Torino telefonasse a casa. Lo faceva pochi minuti prima di mezzogiorno e per un motivo ben preciso: dopo avere salutato la mamma e scambiato con lei notizie sulla famiglia, la salute, il lavoro, al primo rintocco la interrompeva chiedendole di poter ascoltare in silenzio le campane del “suo” Bemascone che annunciavano la dodicesima ora del giorno .
Per Franco era come salutare e sentire un amico caro, un compagno dei giorni dell’adolescenza e della gioventù.
Suoni gradevoli e non rumore per ricordi bellissimi che rendevano meno vuota la solitudine del soggiorno torinese, pur ricco di soddisfazioni sportive bellissime.
Da Luigi Bombaglio avvocato e scrittore di cose bosine, un’anima bella davvero indimenticabile, mi feci raccontare la storia dei caffè cittadini, in passato al pari delle parocchie frequentatissimi luoghi di incontro della comunità.
Parlando del “Lombardi “ Luigi Bombaglio ricordò figure di sportivi e giocatori di carte. Nel caffè per gli assi dello scopone c’era una saletta, in fondo al bar, che si affacciava su un piccolo cortile e da dove nell’arco della giornata oltre ai rintocchi delle campane del Bernascone spesso arrivava il monotono rumore di un pallone scagliato contro un muro: era Franco Ossola che si allenava al controllo del pallone con una serie interminabile di palleggi.
All’inizio “el fieu del balun” dava fastidio ai concentratissimi assi dello scopone, ma poi avendo saputo che si trattava di un
giocatore molto promettente decisero di accoglierlo nei loro timpani con lo stesso amore che avevano per le campane.
Amare il Bernascone per chi lo sente tutti i giorni è un culto.
E quando il suono è triste viene accolto senza angoscia perché ben si conoscono le vicende della vita. Si sa per chi suona la campana e si attende che si rinnovino i suoi segnali amici. Quelli che Franco Ossola telefonando da Torino alla mamma chiedeva di poter ascoltare.
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