“Italiani brava gente?”. Così non la pensarono gli jugoslavi

Oltre alle foibe bisogna anche ricordare che il nostro esercito durante la Seconda Guerra Mondiale in Jugoslavia ebbe un comportamento odioso e bestiale nei confronti della popolazione jugoslava, creando così le premesse della vendetta

10 febbraio, giorno del ricordo dei martiri della Venezia Giulia, dell’Istria e della Dalmazia: migliaia di italiani assassinati dalle milizie comuniste di Tito, molti  dei quali gettati vivi nelle foibe, altri 250 mila costretti a fuggire. E  per quelli che dopo il 1945 sono rimasti in Jugoslavia una vita da incubo, anche se erano comunisti.
Parecchi profughi approdarono in Lombardia, alla nostra città con cultura, ingegno e laboriosità hanno dato e danno molto.
L’Italia ha un grande debito nei loro confronti perché all’origine della tragedia che li ha colpiti c’è stato un comportamento vergognoso, bestiale, del nostro esercito durante il secondo conflitto mondiale: migliaia di civili uccisi, paesi incendiati, più di 30 mila sloveni finiti nei campi di concentramento allestiti in Italia. Così infatti reagirono le nostre  truppe, comandate dal generale Roatta agli attacchi dei partigiani titini. Non potrà mai essere giustificata la ferocia  contro i nostri connazionali inermi, ma è doveroso ricordare  che abbiamo creato le premesse di una vendetta. Delle violenze del nostro esercito in terra jugoslava nessuno ha mai parlato ufficialmente: dietro pressioni straniere negli anni del dopoguerra alla fine venne varata una commissione d’inchiesta che non  fece nulla. La verità sarebbe meglio emersa, a partire dagli Anni 90, per il lavoro di studiosi italiani e jugoslavi, che si occuparono  anche  del regime di Tito.

“Italiani brava gente?” è un libro di Angelo Del Boca, Edizioni  Neri Pozza, che  distrugge un mito e tocca le coscienze: vengono infatti presentate e documentate tutte le stragi commesse dai nostri armati, le sanguinarie repressioni, roba da far impallidire quelle naziste, che  nell’800 hanno visto i piemontesi in azione al Sud contro  “il brigantaggio”; poi i militari  in Cina  per la rivolta dei boxer, in Libia dove abbiamo fatto veri  massacri, in Etiopia, con un Mussolini scatenato dopo un attentato a Graziani, dove sono stati fucilati anche  500 tra sacerdoti  e seminaristi cristiani copti, infine la Slovenia.

Celebrare la memoria del martirio di migliaia di  triestini, di giuliani dalmati e  istriani,  ricordare  il dramma dei profughi è un dovere, è vera solidarietà, ma è  anche un atto riparatorio.  Il loro sacrificio ci impegna a non venire mai meno alla civiltà dell’amore per il prossimo, a negare qualsiasi spazio alla violenza e ai deliri di potere che portano alla guerra.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 10 Febbraio 2009
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