L’imprenditore accusa il “principe”: “Firmavano i miei assegni”
Testimonia un imprenditore edile: "Mi avevano prospettato grossi affari, mi sono ritrovato sul lastrico". Svuotato il conto da lui aperto presso una banca di Gallarate diretta da una persona coinvolta nella vicenda. Le difese al contrattacco: "incongruenze" fra le dichiarazioni rese alla GdF e quelle in aula
Torna in aula la vicenda del “principe di Braganza” dom Rosario Poidimani, pretendente al trono vacante di Portogallo, e dei coimputati nel processo in corso a Busto Arsizio. Con Poidimani sono alla sbarra U. G., Roberto Cavallaro e Fabrizio Bellora, coinvolti nelle attività del “consolato” messo in piedi a Gallarate e finite all’attenzione della Procura. Sono accusati di truffa e associazione a delinquere. Il processo segue all’operazione The Kingdom che nel marzo 2007, dopo lunghe e accurate indagini, smantellò l’organizzazione che distribuiva titoli e documenti diplomatici rastrellando ingenti risorse economiche con la promessa di vantaggi e conoscenze altolocate utili per farsi strada nel mondo professionale.
Sul banco dei testimoni è comparso oggi Emiliano Chiarelli, giovane imprenditore edile del Gallaratese e uno dei testimoni chiave dell’intera vicenda. La sua storia l’aveva già raccontata a Mi Manda Raitre, presente il Poidimani che alla richiesta di comparire in video non si era negato. Chiarelli ha sempre sostenuto di essere stato truffato e rovinato dal gruppo che gravitava sulla “corte” vicentina del principe. Chiarelli ha detto di essere stato attratto dalla prospettiva di grossi affari, interventi edilizi importanti («mi si prospettavano guadagni per milioni»), incluso costruire un “palazzo reale” sull’isoletta in Croazia che la corte del principe siculo-vicentino intendeva acquistare per dare una dimensione territoriale, diciamo così, al principato.
Numerosi gli episodi narrati dal Chiarelli interrogato dal pm Luca Gaglio, tutti accaduti fra 2004 e 2005; fra questi ad esempio un viaggio a Palermo per un convegno cui aveva partecipato il Poidimani, presenti autorità anche di magistratura e forze dell’ordine. Chiarelli ha detto di aver assistito in tale circostanza al versamento di 500.000 euro in contanti al Poidimani. Tutta la trasferta siciliana sarebbe stata poi pagata a spese del testimone. Chiarelli aveva infatti aperto un conto corrente presso la filiale gallaratese della Carige all’epoca diretta da Roberto Resini, che con U.G., “console” a Gallarate del “principato di Braganza” con sede in via Marsala 36 e con il viceconsole F.M. è stato fra i nomi ripetutamente citati dal testimone. Da questo conto, aperto con forti versamenti iniziali fatti dal Chiarelli, che in un primo tempo stava anche cercando di far liquidare un debito con Esatri di suo padre tramite i presunti buoni uffici (a provvigione) del U.G., sono stati prelevati a più riprese soldi tramite assegni a insaputa del Chiarelli, e a suo dire pressochè sistematicamente con firme falsificate. In aula è stata citata la cifra di ben 125 assegni complessivi staccati. Centrale ovviamente il ruolo del Resini nel suo ruolo di direttore di banca. Il sistema vedeva Resini “gestito” da U.G. («questa è persona nostra che ha potere assoluto in banca, ed è gestita da me» gli avrebbe detto), con F.M. in seconda battuta.
Quando Chiarelli cominciò a chiedere conto dei soldi che venivano prelvati a suo nome e sua insaputa, cominciarono anche le minacce che dice di aver ricevuto: «sta’ attento che ti fai male, è pericoloso scherzare con il console e il principe, attento che tieni famiglia». Nemmeno alcuni lavoretti che il Chiarelli dice di aver svolto per conto del “consolato”, e presso altre persone coinvolte nella viceda, furono pagati. Gli venne anche attivato un mutuo, a quanto sostiene sempre senza sua richiesta in tal senso. Risultato: lui è finito sul lastrico, con un debito totale che sarebbe arrivato fino a quattrocentomila euro. Chiarelli fu informato, nel dicembre 2004, di avere uno scoperto da 85.000 euro con la banca («ero in vacanza in America, mi informò U.G. per telefono mentre ero in cima all’Empire State Building»); nè il rilancio per “ripianare” tramite mutuo e il coinvolgimento nell’operazione BG, o Bank Guarantee, già descritta nella scorsa udienza, potevano migliorare le cose.
Le difese non sono state tenere con il Chiarelli e gli hanno contestato tutto il contestabile: la sola Irma Conti, legale di Poidimani, ha mosso 25 singole contestazioni su dichiarazioni rese in aula e più o meno divergenti da quelle rese nel 2005 alla Guardia di Finanza di Gallarate. Pesante anche la contestazione mossa dall’avvocato Fabbri per la difesa di U.G. Chiarelli aveva dichiarato di non aver avuto problemi economici prima di conoscere i personaggi del “consolato” gallaratese, Fabbri ha sfoderato una richiesta dell’agosto 2004 della Banca Popolare di Bergamo per un assegno da 25.000 euro risultato scoperto, documento che Chiarelli non ricorda di aver ricevuto. Le difese hanno insomma cercato di mettere in luce ogni contraddizione atta ad incrinare la posizione del testimone come mera vittima delle circostanze. Sotto il fuoco di fila degli avvocati Chiarelli si è destreggiato alla meno peggio: e il presidente della corte Novik ha avuto il suo da fare nel “bacchettare” tanto il testimone quanto i legali per ogni uscita dal seminato. Evidente la difficoltà di intendersi, qua e là, anche sul senso di quanto già verbalizzato in passato: lo stesso giudice ha dovuto concedere che effettivamente vi erano delle difformità su punti specifici fra le dichiarazioni di quattro anni fa e quanto emergeva in aula. Ad esempio sul fatto che nel 2005 Chiarelli diceva di aver prelevato per poi staccare e consegnare assegni quando la sua tesi, ribadita anche di fronte alle contestazioni, è che questi venivano fatti a sua insaputa, con firme false. La prossima udienza si terrà il 4 giugno.
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