Se l’etica nel lavoro nasce dallo sguardo di un bambino

Un incontro organizzato all'Università Carlo Cattaneo su "La sfida dell'etica nella pubblica amministrazione". Ospite il consulente Massimo Folador

In un periodo in cui la parola “fannullone” è entrata nel lessico quotidiano, parlare di etica nella pubblica amministrazione è quantomai attuale. Per questo l’Università Carlo Cattaneo – Liuc ha organizzato oggi, lunedì 26 ottobre, il convegno “Dall’etica all’eccellenza”. Tema centrale dell’incontro, a cui hanno preso parte esponenti politici e amministrativi della Regione Lombardia (Raffaele Cattaneo, Giuseppe Adamoli e Michele Camisasca), docenti della Liuc (Mario Zanchetti e l’organizzatore del convegno Renato Ruffini), vari imprenditori (Ernesto Burattin, Daniele Giani, Ugo Gaspari, Alberto Castelli) e Massimo Folador consulente noto per i suoi lavori sul sistema organizzativo dei benedettini, è stato il decreto legge 231. Si tratta di un provvedimento legislativo del 2001 che ha introdotto per la prima volta nel nostro ordinamento l’obbligo, per l’individuo, di rispondere in quanto persona giuridica per i reati commessi all’interno della propria struttura lavorativa. L’idea alla base della legge 231 – da cui sono esclusi vari soggetti della pubblica amministrazione fra cui lo Stato e gli enti territoriali – è che la società deve dotarsi di un modello organizzativo adatto ad evitare che i propri dipendenti commettano reati. Nel momento in cui il reato viene commesso, la responsabilità compete solo al singolo che deve quindi essere giudicato. “La legge 321 – spiega Mario Zanchetti, preside alla Liuc della facoltà di Giurisprudenza – ha origine in realtà negli anni settanta, quando gli Stati Uniti d’America hanno promulgato una legge per sanzionare le aziende e i manager che corrompono funzionari pubblici internazionali. Si trattava di una pratica diffusa e che ha visto gli Usa fare un lavoro di lobbing sull’Ocse per obbligare con una convenzione tutti gli altri stati a dotarsi di strumenti legislativi simili”. Da qui il perché la legge 321 non comprende le pubbliche amministrazioni: il modello organizzativo di cui la società deve dotarsi può agire nell’ottica di impedire al dipendente di corrompere, ma non di essere corrotto. Lo scopo della legge è quindi prevenire, ad esempio, che una società in gara per un appalto corrompa la pubblica amministrazione che ha emesso il bando.
Ecco quindi porsi una questione etica anche nel pubblico. I due esponenti politici ne hanno tratteggiato due concezioni diverse: se Adamoli (consigliere Pd) punta l’attenzione sull’intreccio fra “etica e legalità, laddove la costante aspirazione all’eticità di traduce in aspirazione alla legalità dell’azione”, l’assessore Cattaneo distingue fra “etica intesa come codice deontologico ed etica come regola che scelgo di seguire naturalmente in base a un’idea comune di realtà e di comportamento”. Entra quindi in scena il sempre più citato concetto di sussidiarietà, una sorta di parola magica che in ambio di pubblica amministrazione siamo ormai abituati a sentire. “La sfida – spiega Cattaneo – è quella di creare un sistema di governo che sappia scommettere sulla capacità del cittadino di dare risposte dal basso senza aspettare che sia lo Stato a calarle dall’alto”.
Una concezione, quella di Cattaneo, abbracciata in gran parte anche da Folador che ha cercato nel suo intervento di mostrare gli intrecci fra quello che appare come un concetto squisitamente filosofico e la realtà quotidiana. “L’etica è un comportamento generato da una consuetudine che nella quotidianità diventa qualcosa con cui è possibile misurarsi. Per farlo bisogna però porre l’attenzione prima di tutto sulla persona, poi sulla comunità e infine sullo stato”. L’etica secondo Folador si muove si all’interno di una cornice normativa, ma è resa più ricca dall’attenzione e dalla valorizzazione del singolo. Un’azione diventa etica quando ha in sé quattro virtù: il dialogo, la pazienza, la perseveranza e la carità. “Sembra astratto, ma tutte queste caratteristiche le ritroviamo nei comportamenti quotidiani. Prima a livello personale e poi collettivo”.
E più di mille parole, vale forse l’esempio semplice portato da Camisasca, giovane direttore del personale della regione. “Alla fine, da dove nasce il mio comportamento etico? Dai miei figli, dallo sguardo del mio bambini di sette mesi”.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 26 Ottobre 2009
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