Accam in bilico: “O si trovano soluzioni o si chiude”

Seria situazione economica per l'inceneritore, fra ritardi sul revamping e tariffe che i Comuni soci rifiutano di aumentare. Parlano il presidente Cicero e il sindaco di Gallarate Mucci

Situazione grave quella di Accam, la società per azioni che gestisce l’inceneritore di Borsano. L’ultima assemblea dei 27 Comuni soci si è conclusa con uno stallo preoccupante per le prospettive dell’impianto, con il no alla proposta di aumento delle tariffe esposta dal presidente Paolo Cicero. Venuti a mancare da fine novembre i contributi Cip6, da sempre contestati dal mondo ambientalista per l’assimilazione a "energie rinnovabili" del ricavato della combustione di rifiuti urbani e altro, ad Accam è stata letteralmente tolta una stampella, se non una gamba. Cinque milioni di euro non sono noccioline. Secondo quanto lo stesso presidente annunciava in assemblea, al momento il denaro in cassa è sufficiente per andare avanti ancora tre-quattro mesi. Poi, sipario.

– Una sedia che scotta

«L’impianto funziona, è sotto controllo, ma certo vista la situazione» ci fa sapere il presidente quando «sarà necessario fare economie, ci sono mutui in scadenza…» Il no dei Comuni all’aumento delle tariffe è risuonato come un ceffone. Ma Cicero, e tutta la società, si aggrappano a un fattore: si tratta di un no, diciamo così, interlocutorio. «Non è un no definitivo» assicura «i 27 Comuni soci hanno chiesto di rinviare le decisioni al 10 febbraio. E attenzione: vorrei fosse chiaro che l’aumento delle tariffe che proponevamo è temporaneo, fino all’avvio del revamping (la costosissima ristrutturazione e messa a norma globale dell’impianto) e al riottenimento dei contributi Cip6». Cicero ricorda infine che «sono i soci ad essere proprietari, non noi dirigenti: loro devono rendersi conto e decidere se la società deve andare avanti o meno. Spetta a loro decidere: non c’entra la politica, qui in assemblea non si va a fare politica, quella resta nei consigli comunali, si parla di numeri».

– Il revamping in ritardo

Preoccupato è anche Nicola Mucci, il sindaco di Gallarate, uno dei Comuni con le maggiori quote di proprietà, e politicamente, da anni, il più influente sulla partita, per i critici più della stessa Busto Arsizio. «La situazione è difficile, ma chiara» riassume. «Ci sono state situazioni che hanno rallentato il revamping» fa ripercorrendo l’iter che ha portato qui. I mutui per cifre enormi che hanno visto le banche chiedere garanzie crescenti ai soci, dalle fideiussioni equivalenti fino al diritto di superficie sul terreno stesso dell’impianto, hanno allarmato vari Comuni soci, soprattutto fra i “piccoli”, mentre i maggiori si affannavano a gettare acqua sul fuoco. Un problema superato, per Mucci: «A questo ha ovviato il gruppo di lavoro dei segretari comunali e dei dirigenti del settore finanze, ho assistito però ad alcune riunioni su questo tema che ancora ricordo con stupore per la scarsa comprensione della questione che alcuni consulenti legali delle amministrazioni sembravano mostrare». Una tempesta in un bicchier d’acqua? A giudicare da quanto erano disposti a berlo in alcune realtà locali, sembra più un bicchiere di olio di ricino.

– «Una soluzione, o si chiude»

Il ritardo sul cronoprogramma previsto però resta: e Mucci lo cita come un problema chiave. I tempi della politica confliggono con scelte che hanno un carattere squisitamente aziendale e industriale, ma risvolti economici che ricadranno sulle tasche dei cittadini tutti, per tacere di quelli legali che ricadono su chi vota questo e firma quello. Potenti incentivi a non muovere foglia senz aver più che bene ponderato: ma purtroppo qui chi si ferma è perduto. «Ora ci troviamo senza i cinque milioni del Cip6, l’impianto ha delle problematiche di funzionamento, c’è da sostituire con urgenza la caldaia della linea 2. Il problema contingente è di natura economica» ribadisce «si prevede un bilancio in negativo anche nel 2010, il flusso di cassa attuale non consente di onorare oltre i contratti di gestione dell’impianto. A fine gennaio se ne dovrà riparlare, e o si trova una soluzione o l’impianto dovrà chiudere». Ipotesi quest’ultima che piacerebbe agli oppositori dell’inceneritore, in testa il comitato borsanese stanco di vedere la comunità locale scavalcata da una questione che le le aleggia sopra la testa da decenni.

– Questione di tariffe e "paletti"

A Mucci chiediamo se la crisi dell’impianto privato del Cip6 non giustifichi le tesi ambientaliste secondo cui l’incenerimento in sé è una scelta perdente dal punto di vista economico. «Io ritengo di no» risponde il sindaco di Gallarate, «in Italia ci sono impianti che funzionano e portano utili. Abbiamo un problema di tariffazione: la nostra è bassa, a 94 euro la tonnellata, altri inceneritori come Dalmine sono sui 120». La differenza da sola, calcolata spannometricamente, potrebbe portare un paio di milioni di euro l’anno nelle casse di Accam. Quel che è chiaro che la società è attesa a un’annata di fuoco. Potrebbero essere necessarie scelte diverse, di cui si è parlato negli ultimi mesi. Ingresso di privati? Impensabile nelle condizioni attuali, ma Mucci non esclude: «Si può considerare», dice, «alla luce delle recenti normative, ma in misura almeno del 40%. Certo non è un’opzione immediata, ci vorrebbe una gara preceduta da perizie estimative, e non poco tempo». Smantellare la convenzione in vigore con Busto e aprire ad ulteriori Comuni? «La coperta resta corta, restando il limite operativo delle 400 tonnellate/giorno anche questa opzione non porterebbe probabilmente risorse decisive». Insomma, il problema è spinoso da qualsiasi parte lo si voglia affrontare: e sui Comuni soci si accumula il peso di una responsabilità che in molti scaricherebbero volentieri. Come ha già fatto, secondo i maligni, la Provincia con il suo piano provinciale rifiuti, in cui Accam, ora a rischio, è l’inceneritore di riferimento.

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Pubblicato il 17 Dicembre 2009
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