Borsano ricorda Antonio: “Aiutò subito a scavare dopo l’esplosione”

L'uomo trovato morto ieri nell'auto in fiamme, uno degli sfollati del disastro di via San Pietro, era conosciuto e benvoluto. Alle spalle una separazione, problemi di salute, poi la casa distrutta dall'esplosione

Una persona mite, gentile, che si vedeva a spasso con il cagnolino per il rione. Così Borsano, e via San Pietro in particolare, ricorda Antonio Sapia, stupita, anzi sgomenta, per la sua fine atroce. A quanto pare, autoimposta. Il corpo del 41enne è stato ritrovato venerdì sera nella sua auto carbonizzata, accanto alla palestra del liceo scientifico, in via Ferrini. Un dramma nel dramma, perchè si trattava di uno degli sfollati dopo l’esplosione che il 3 dicembre scorso uccise due persone, Andrea Rosignoli e Stefania Zhu. Antonio Sapia è la terza vittima, indirettamente. La sua abitazione, al civico 9, era due appartamenti dietro quella di Rosignoli. Alla mattina presto i vetri saltano, la casa è squassata. Lo ricordano che salta fuori gridando di essere salvo per miracolo, e fra i primissimi collbora a rimuovere quel che si può a mano, a soccorrere i feriti, a cercare di estrarre persone intrappolate. Lo ricordano anche i giornalisti che numerosi gli parlarono quel giorno e nei giorni seguenti, fra un’intervista e l’altra a questa frazione ferita al cuore nel suo centro storico di vecchie corti, che richiamano un’antica e dignitosa povertà contadina. Un uomo mingherlino, un volto dai tratti scavati, disponibile, cortese. Sempre un sorriso per tutti. A Stefania e Andrea era franata addosso la casa. A lui è franata addosso la vita.

Antonio Sapia viveva da solo al 9 di via San Pietro. Non era sempre stato così. Era separato da circa un anno, prima aveva convissuto sotto quel tetto con la moglie. Poi, non bastasse lo stress di una separazione, l’esplosione, lo choc, lo sfollamento in casa della madre. Recentemente, ai disturbi psicologici di cui già soffriva s’era aggiunta una crisi epilettica che lo aveva condotto al ricovero. Non sapremo mai quale sia stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, o cosa abbia pensato prima di morire: per la polizia, fino a prova contraria, il corpo ribnvenuto nell’auto bruciata è quello di uomo che si è tolto la vita volontariamente.

In via San Pietro la notizia rilanciata dai giornali del mattino è accolta con sgomento. Possibile? Proprio lui? «Una persona cordiale, discreta, che aveva rispetto degli altri e ne era rispettata» dice un vicino. «Lo vedevo sempre in giro con il cagnolino, un saluto e un sorriso per tutti. Lavorava, non ricordo bene dove, mi pare a Somma, da meccanico. Ultimamente però era in malattia».
Stesse risposte al minimarket che fa da piccolo punto di riferimento per gli acquisti, insieme a panetteria ed edicola. C’è anche una signora imparentata con l’ex suocero dell’uomo, Borsano è piccola e ci si conosce. Una brava persona, dicono. Non aveva mai dato segni particolari di disagio. Per qualche anno aveva convissuto con la moglie, tutti erano proprietari di casa in quel cortile.
«Mio marito è vigile del fuoco» spiega la donna che gestisce il minimarket. «Fu tra i primi ad accorrere dopo che il botto ci fece scendere dal letto. Lo trovò lì, che diceva di essere vivo per miracolo, e lo aiutò a cominciare a scavare, fin quando non arrivarono i soccorsi». Fatto sta che ora le vittime di via San Pietro sono tre. E chi vittima non è stato, ha pagato in angoscia. «Ora ho paura ogni notte» confessa la donna. «Siamo stati sfollati solo tre giorni prima di poter rientrare, ma è difficile dormire adesso. Ogni minimo scoppio ti fa sussultare». L’ultimo, ieri sera, non l’hanno sentito. Appena un paio di chilometri più su, era quello dell’auto di Antonio che prendeva fuoco. Separazione, malattia, casa distrutta. Basta. Silenzio.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 06 Febbraio 2010
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