Il ricordo di Flaborea: «A suon di “ganci” abbattemmo l’Armata Rossa»
Pivot e capitano della Ignis, toccò a lui sollevare la coppa e portarla nel giro di campo dopo la partita. «Prima della gara uscì un doppio arcobaleno: il "segno" che non potevamo perdere»
In quella notte magica in cui il basket varesino toccò per la prima volta il vertice europeo, fu lui a sollevare per primo la Coppa dei Campioni. Ottorino Flaborea, veneziano di classe 1940, era il capitano di quella Ignis disegnata in campo dal genio di Aza Nikolic e anche nella finale di Sarajevo lasciò una firma indelebile con una serie di canestri decisivi. Specialista del tiro "in gancio", si ritrovò questa caratteristica nel soprannome: Capitan Uncino.
Flaborea, quella di Sarajevo è davvero la "partitissima" del basket varesino?
«Direi di sì: vincemmo altre finali e altre coppe dopo Sarajevo, ma quel successo fu incredibile e permise alla Ignis di inziare la sua serie straordinaria. Fu una serata entusiasmante e ancora oggi, parlando con gli altri protagonisti di quella squadra, mi vengono in mente solo cose belle».
Come vi avvicinaste alla finale?
«Eravamo tutti tesi, forse anche un po’ titubanti. Avevamo già giocato contro l’Armata Rossa nel girone dei quarti, quando perdemmo nettamente a Mosca ma poi vincemmo in modo altrettanto largo a Masnago. Quindi era difficile prevedere l’andamento della partita in campo neutro. Prima di arrivare al palazzetto però, guardammo fuori e vedemmo un doppio arcobaleno: quello ci sembrò un segno del destino e ci convinse che era la volta buona».
Cosa si ricorda della partita?
«Prima di tutto il palazzo dello sport: nuovo, molto bello, strapieno di gente. I tifosi di Varese si facevano sentire eccome, infatti non saprei dire in quanti erano ma di certo fecero un gran baccano. Partimmo alla grande ma quando Jones si fece espellere subentrò una certa paura anche perché Meneghin aveva già tre falli ed era l’unico lungo vero della squadra, se rapportato ai pivot dell’Armata Rossa. Andreev era immarcabile e allora lo limitammo con la zona: mi ricordo una battaglia durissima, una grande fatica ma alla fine una gioia altrettanto enorme». – Foto a lato: Flaborea nella recente partita in onore di Manuel Raga.
Non si dimentichi di quella serie di "uncini" che proprio lei mise a segno!
«No di certo: oltre ad Andreev loro avevano un altro ottimo pivot, Zarmukamedov che però fece cinque falli. A quel punto per me ci fu più spazio e allora via con quei tiri che sono stati la mia specialità. Ho scelto il momento giusto e magari sono stato un po’ fortunato, visto che ne segnai due anche di sinistro; ricordo che Alachachan, il loro allenatore sottolineò che non si aspettava questi miei canestri. Meglio così».
E così toccò proprio a lei sollevare la Coppa per primo e portarla nel giro di campo celebrativo.
«Esatto, ma al mio fianco ci fu anche Dino (Meneghin ndr – nella foto in alto tratta da "La Pallacanestro Varese" di Renato Tadini). Quel giorno, a vent’anni, fece una partita prodigiosa, incredibile: credo che fu proprio quel match a lanciarlo ai massimi livelli. E poi avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse: tra la stanchezza, il basamento in legno e la coppa in metallo, il trofeo era anche difficile da trasportare. Ma l’ho fatto davvero molto volentieri».
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