“Lavoro nella scuola da vent’anni. Ho solo la certezza di non avere un posto”
Tante le storie che si incrociano sul piazzale del liceo Manzoni. Tante storie di precariato nella scuola, di vite spese a inseguire un sogno sempre più difficile
Mamme e papà con i figli piccoli. Nonni accompagnatori e baby sitter. Coppie mano nella mano. Giovani al sesto mese di gravidanza. Tutti insieme, sotto il sole di fine agosto, ad aspettare la chiamata. L’offerta di una cattedra per il prossimo anno scolastico: « Speriamo tutti in una proposta al 31 agosto così non avremo problemi nei mesi estivi. Ma poi si prende quello che c’è». Davide aspetta, chiacchierando con alcune giovani colleghe, che arrivi il suo turno: « Non dovrebbero esserci problemi. Lettere alle medie è abbastanza tranquilla. Il problema è che siamo qui ogni anno. Sempre precari…»
« Sempre con l’incertezza della cattedra, se intera, spezzata. Se vicino a casa o lontano chilometri. È veramente pesante – aggiunge Teresa – E non cambia mai niente. Non c’è ricambio generazionale. Noi cresciamo, abbiamo dei figli, ma le nostre incertezze aumentano…».
Italiano come inglese : «Spero di trovare qualcosa – dice scaramanticamente Adele – Almeno alle medie ci dovrebbero essere offerte. Certo, se non ci tenessero qui, in piedi sotto il sole, sarebbe un po’ più umano». « Diciamo che le cattedre di inglese sono un po’ maltrattate dalle scuole – commenta Alice – nonostante il Ministro ne voglia il potenziamento, le scuole preferiscono, nelle ore di autonomia, salvare quelle materie dove hanno docenti di ruolo perdenti posto. Così a rimetterci siamo noi…»
Tra i tanti in attesa anche padre madre e il figlio di pochi mesi: « Io sono a posto perchè ho attenuto una cattedra con il sostegno – dice Pierpaolo – Sono venuto ad accompagnare mia moglie che spera in una cattedra di lettere. Non è facilissimo però… Insegno da cinque anni e ho sempre trovato un contratto. In questa provincia si lavora tutti. Se la chiamata non avviene ora, arriva dopo, con gli spezzoni o direttamente dai presidi». Accanto a lui Elena, la moglie: « Siamo arrivati qui alle nove circa. Spero che mi chiamino per le dodici e mezza, la una. Devo stare attenta. Non c’è megafono o altoparlante. Non ci si può distrarre».
Anche Gabriele e Antonella, prossimi genitori trasferitisi a Varese 4 anni fa da Lecce, stanno con l’orecchio teso : « Abbiamo già avuto il posto sulla disabilità. Ma io vorrei migliorare il mio contratto con una proposta a scadenza 31 agosto. Quest’anno è molto disorganizzato, non si capisce nulla. Siamo stati convocati tutti insieme e non c’è una chiara divisione delle materie che stanno chiamando».
Tra i più sfiduciati, gli insegnanti di educazione fisica: « Avremmo potuto andare benissimo al lago oggi – commentano sarcasticamente Elena, Francesca e Nicoletta accomunate dallo stesso destino di "disoccupate" – Non ci sono cattedre e nemmeno spezzoni. Nulla. Lavoriamo da circa 10 anni in questo settore e oggi ci ritroviamo messe molto peggio di quando abbiamo iniziato. E sì che ne abbiamo spesi di soldi. Oltre alla scuola anche il corso di abilitazione, 2500 euro. Non proprio una passeggiata…». « Insegno da vent’anni e non ho un posto – commenta Gianfranco – È un teatrino assurdo: ci si accaparra, due ore qui, tre là. Quando va bene. Io me ne ero chiamato fuori. Ma ora ho famiglia. Un figlio e una moglie, anche lei docente di educazione fisica, anche lei legata alle supplenze, ai progetti nella scuola. Sono tornato qui per forza. Ma è molto triste e umiliante tutto ciò».
Un tempo, con vent’anni di insegnamento si poteva scegliere di andare in pensione. Oggi non si ha neppure la possibilità di lavorare: « Poveri ragazzi – commenta una pensionata venuta ad accompagnare la figlia – è proprio triste vederli così abbattuti. Ci sono anche molti uomini alla "Clooney", ormai brizzolati. Anche loro in fila per un posto. Ai nostri tempi era molto più semplice».
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