Pintus. “Sia restituito l’onore al giudice Lombardini”

Dopo l'assoluzione a Nichi Grauso per la vicenda del sequestro Melis, il giudice chiede che venga riabilitata la memoria del magistrato che, indagato, su suicidò

Dottor Pintus, con l’assoluzione di Grauso che nella vicenda del sequestro di Silvia Melis, avvenuto in Sardegna nel 1997, aiutò la famiglia della giovane e non si comportò da estortore, da sciacallo, come ritenevano i pubblici ministeri, una volta di più si conferma anche la trasparenza, la grandezza morale di Luigi Lombardini, procuratore della Repubblica di Cagliari, che , a sua volta chiamato in causa dai magistrati requirenti, si suicidò. Fu un episodio di rara gravità nel quale lei, allora Procuratore Generale, difese il collega con fermezza e con giudizi severi. Giudizi che non piacquero ai pm di Palermo se Caselli la querelò più volte.

“La recente sentenza del Tribunale di Palermo, sulla quale la stampa nazionale ha mantenuto scrupoloso silenzio, non fa purtroppo che riaprire una ferita che oggi, dopo dodici anni. non si è ancora rimarginata. Ora attendo di leggere la sua motivazione, perché solo dal suo contenuto sarà possibile valutare se veramente sia stata con essa resa giustizia piena alla memoria di Luigi Lombardini.
Prima che scadesse il mandato di Carlo Azeglio Ciampi, quando ormai ritenevo fondato il timore che il processo di Palermo finisse con la prescrizione di tutti i reati, dandosi atto, nella migliore delle ipotesi, che essendo Lombardini – il vero imputato ombra – deceduto ben prima dell’inizio della procedura, non si poteva nei suoi confronti ulteriormente procedere, mi ero rivolto al Capo dello Stato, presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, per sollecitare un suo intervento per avviare finalmente un’indagine volta ad accertare le effettive responsabilità del magistrato morto suicida nella serata dell’11 agosto 1998.
Il Capo dello Stato non ritenne di far seguire alla mia lettera un cenno di risposta e tale suo silenzio mi parve offensivo della memoria di Lombardini almeno quanto lo furono le parole attribuite dal quotidiano “La Nuova Sardegna” di Sassari al dottor Caselli (che peraltro, a quanto mi risulta, non smentì di averle pronunciate): quest’ultimo, infatti, nel corso di un pubblico dibattito, avrebbe collegato alla morte del collega la cessazione dei sequestri di persona nell’isola sarda. Ho protestato per questo con una lettera all’allora ministro Castelli, ma anche da quest’ultimo non ho avuto risposta. Ecco perché non vedo l’ora di leggere le motivazioni della sentenza di Palermo: per sapere che cosa si è voluto salvare del ricordo di un giudice che del proprio dovere aveva fatto un credo religioso“.

Avere giustizia dopo 12 anni credo sia una vergogna, la conferma
che veramente è indispensabile una riforma, condivisa, di tutto
l’ apparato giudiziario. Ma pagano per i loro errori, sia pure commessi in buona fede, coloro che la giustizia la amministrano?

“Il problema della responsabilità dei magistrati per gli errori dovuti a colpa professionale venne affrontato, come è a tutti noto, circa dieci anni fa, a seguito del voto referendario che, si può dire a furor di popolo, abrogò le norme del codice di procedura civile che disciplinavano la materia.
Il Parlamento approvò allora con tutta fretta una nuova disciplina che tutti compresero che sarebbe stata non suscettibile di pratica applicazione. E, di fatto, l’unico effetto che la legge sortì fu di indurre i magistrati a stipulare contratti di assicurazione, contratti che, a quanto mi risulta, non furono più rinnovati: l’impunità che la normativa abrogata dal voto referendario assicurava ai magistrati solo in minima parte, finì con l’essere assicurata in modo completo e totale, come dimostrato dal fatto che tale normativa in un decennio non ha mai trovato applicazione.”

E’ corretto affermare che gli errori dei magistrati, in particolare quelli dell’accusa, possono aumentare quando la giustizia incrocia la politica? Per quali ragioni ciò accade? E come si può evitare questa distorsione? Io ho conosciuto e subito stimato Francesco Pintus , pubblico ministero a Varese garantista sempre e comunque.

“Quando, come sostituto procuratore, ho prestato servizio a Varese, i cronisti giudiziari mi rimproveravano spesso di dare loro solo poche e striminzite notizie sul mio lavoro, ma tale mia ritrosia – o diciamo pure riserbo – ha consentito di assicurare che i diversi percorsi, quello che io seguivo per l’accertamento della verità giudiziaria, e quello che seguivano i cronisti per informare la pubblica opinione,rimanessero sempre distinti e separati. Oggi la carriera dei giornalisti e quella dei pubblici ministeri sembrano pericolosamente parallele, se non addirittura convergenti. Il fatto che la politica approfitti di questo quando ne può trarre giovamento non vuol ancora dire che esistono quelli che lei chiama “incroci”, ma è certo che quello di cui si avverte la mancanza è l’esistenza di un serio controllo sui fini cui talune iniziative giudiziarie sembrano tendere e sulla liceità dei mezzi che vengono usati per realizzarli. A ben vedere, il problema delle intercettazioni si colloca proprio al centro di tali incroci.”

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Pubblicato il 06 Agosto 2010
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