I precari della scuola non esistono
Sono gli insegnanti che contribuiscono a far stare in piedi lo zoppicante sistema di istruzione del nostro Paese. Con meno salario e meno diritti. Tutto sommato costano poco e se scompaiono, nessuno se ne accorge, nessuno sciopera. Di Enzo Laforgia
Li chiamano «precari della scuola». Sono insegnanti che vivono di contratti a tempo determinato. Non sono diversi dai loro colleghi «a tempo indeterminato», quelli che un tempo venivano definiti «di ruolo». Loro però vivono sospesi, perché non hanno avuto fortuna. Sono arrivati tardi per agganciarsi alle cosiddette Ssis (Scuole di Specializzazione per l’Insegnamento Secondario), che non esistono più, e così sperano che il Ministero (dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, accipicchia!) si decida a spiegare in che modo si potrà accedere alla professione di insegnante. Oppure sono troppo vecchi. Hanno tra i quaranta e i cinquant’anni, hanno superato tutti i concorsi, ma i periodici tagli del personale non hanno consentito loro di approdare ad una cattedra stabile. Vecchi e giovani si sottopongono al rito annuale ed umiliante della convocazione presso gli Uffici scolastici oppure attendono la telefonata di un Preside (pardon, Dirigente scolastico) nella speranza di poter avere uno stipendio almeno sino a giugno. Non importa dove. L’importante è che riescano a lavorare. Quando affollano gli uffici, perché sono troppi, bisogna chiamare la Polizia per disperderli. Vederne tanti tutti insieme non è un bello spettacolo.
Sono questi gli insegnanti che contribuiscono a far stare in piedi lo zoppicante sistema di istruzione del nostro Paese. Con meno salario e meno diritti. Tutto sommato costano poco e se scompaiono, nessuno se ne accorge, nessuno sciopera. Deputati e senatori, quelli che disquisivano sul «futuro dell’Alitalia», quelli che hanno munto e mungono le casse dello Stato per aiutare gli allevatori a non pagare le tasse, quelli che bussano a «Roma ladrona» per finanziare le scuole padane, le sette religiose che ormai occupano il pubblico per rimpinguare il «loro» privato, tutti costoro non sanno neppure come sono fatti i «precari della scuola». I precari della scuola non sono mediaticamente interessanti. Alcune decine di migliaia di persone, laureate, specializzate, che sono costrette ad elemosinare un contratto a tempo determinato per uno stipendio non particolarmente appetibile e per rivestire per qualche mese un ruolo sociale senza più prestigio non destano interesse. E poi, diciamolo francamente, fanno tanto «terzo mondo». Loro, pensate un po’, desidererebbero insegnare. Nella scuola. Ma è proprio della scuola che non interessa più nulla. La scuola non fa notizia, non occupa le pagine dei giornali, non suscita dibattiti né mobilita gli intellettuali (la scuola non stimola bizantine discussioni come per il caso Mondadori). La scuola non esiste. Pertanto i precari della scuola non esistono. Tra meno di un mese nessuno se li ricorderà più.
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