Il sole che divide

La Lega cerca di presidiare il territorio anche attraverso l'uso dei simboli. Una scelta che provoca divisioni anziché facilitare le relazioni

Quanti di voi incontrano donne con il burqua al mattino quando vanno a scuola o a lavorare? Quante sono le comunità dove girano con questo abito integrale?

Una volta interrogarci su abitudini e tradizioni di popolazioni, che fino a pochi anni fa non conoscevamo, sarebbe stato solo dettato dalla curiosità. Oggi c’è qualche motivo in più, ma certamente non è in cima alle nostre priorità.
Chissà perché invece qualcuno in Parlamento pensa che vada dato un bel giro di vite  vietando l’uso del velo integrale. È innegabile che in alcune situazioni la presenza di donne con il burqua possa generare inquietudini e paure, ma quando la risposta diventa un divieto, genera solo incomprensioni. E fa specie che un partito come la Lega Nord che si rifà al liberismo e al federalismo abbia questa voglia di accentrare decisioni che richiederebbero invece confronto, ascolto e conoscenza prima ancora di giudizio.
Ogni volta che si usano maniere forti si rinforzano e radicalizzano le differenze. Questo rischia di generare subito sentimenti di ostilità e di far apparire l’altro come qualcosa di ostile. 
Viviamo un’epoca di profonde incertezze dettate da profondi cambiamenti in ogni ambito della nostra vita. Ci sono fenomeni nuovi che incontriamo ogni giorno, e a cui si fatica ad abituarsi. La multiculturalità è uno di questi, e porta con sé tanti aspetti compreso quello di un abbigliamento che a ragione può inquietarci. Decidere comportamenti per legge però non risolve niente e soprattutto sposta l’attenzione e il dibattito su un terreno che non ci fa progredire e migliorare nei rapporti. Questo sia rispetto agli stranieri che ai nostri stessi concittadini, tanto che subito sono nati comitati contro la proposta di legge. E così alimentiamo divisioni anziché migliorare le relazioni.
Stessa situazione è quella che riguarda i simboli. Ognuno di noi ne ha bisogno e li invoca, a volte senza nemmeno averne consapevolezza. Lo fanno i gruppi scegliendo loghi e slogan. Lo fanno le associazioni, i partiti e perfino le squadre sportive. Che siano colori o immagini poco conta, ci si identifica subito e dietro quel simbolo ci si sente parte di qualcosa in comune con gli altri. Il simbolo ci identifica, ci distingue e ha valenze profonde. Si pensi solo al crocefisso intorno a cui, ogni volta che succede qualcosa, si scatenano dibattiti infiniti. 
La simbologia è così materia delicata e importante e basterebbe guardare a cosa non hanno fatto i sistemi totalitari durante i periodi in cui gestivano il potere.
Per tutte queste ragioni non è un gesto da poco quanto successo nella scuola di Adro o più in piccolo in alcune rotonde di casa nostra, o ultimamente sotto il ponte di Castronno. I simboli di partito, in questo caso della Lega, non vanno mischiati a quelli istituzionali. Nessuno ha diritto a farlo perché chiunque governi lo fa pro tempore, e il consenso del popolo non è il lascia passare per ogni genere di scelte. Questo se ci si tiene realmente alle comunità. Se invece si tiene solo alla propria visione del mondo, le cose cambiano. Allora però ci si continuerà a dividere, e parte dell’energia di tutti andrà a imporre o contrastare scelte solo di parte.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 19 Settembre 2010
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