Più del doppio dei detenuti, il carcere di Busto tra i più sovraffollati d’Italia

Al 20 settembre erano 431 i detenuti: oltre il doppio di quelli che la struttura dovrebbe contenere. Un affollamento cronico, denunciato da anni

Busto è nelle alte vette della classifica: ma non parliamo di sport. Parliamo invece di affollamento e di carcere. La casa circondariale di via per Cassano si conferma constantemente al limite delle capacità. Secondo la classifica pubblicata in questi giorni dal sindacato della polizia penitenziaria Uilpa, è quinta a livello nazionale, su 204 carceri censite: davanti solo Caltagirone, Mistretta, Lamezia Terme e Piazza Armerina, tutte carceri di piccole dimensioni del profondo sud. Busto Arsizio è la prima di quelle maggiori, con i suoi 167 posti teorici, cui corrispondono invece 431 detenuti registrati alla data del 20 settembre scorso. Scusate se è poco, viene da dire. Un affollamento cronico, denunciato da anni, ripreso nel mese scorso, dopo la sua visita alla struttura, dal rappresentante dell’associazione Luca Coscioni, Sergio Besi, che alla vigilia di Ferragosto aveva visitato il carcere insieme al consigliere regionale del PD Stefano Tosi.
Il numero di detenuti a giugno si era addirittura arrampicato a quota 452, per poi scendere in agosto a 413 e risalire a settembre. Quello di Busto è un carcere che si gonfia e si sgonfia "a fisarmonica" seguendo quasi fisiologicamente un fattore esterno: l’aeroporto della Malpensa, da dove con noiosa regolarità finiscono in cella ogni settimana avri corrieri della droga, in arrivo per lo più da Africa e Sudamerica. Quasi i due terzi dei detenuti sono stranieri: il doppio che nel resto d’Italia. Non è nemmeno un carcere "da lungodegenti", statisticamente, visto che il turnover dei detenuti è fra i più alti, proprio a causa della vicinanza all’aeroporto. Affollamento sì, quindi, ma per i più non dura troppo a lungo, almeno. A Busto, come in molte altre carceri, è insufficiente anche il personale di polizia penitenziaria. La situazione non è allegra, se è vero che c’è carenza d’acqua, specialmente d’estate; che il tempo che i detenuti possono passare fuori dalle celle non supera le cinque ore al dì; che ancora solo un centinaio dei detenuti hanno opportunità di svolgere un lavoro. Pur avendo a disposizione, va detto, progetti apprezzabili, il più interessante e noto dei quali è quello del laboratorio di cioccolateria e pasticceria.

Tra gli operatori che quotidianamente seguono progetti volti al reinserimento dei detenuti c’è Sergio Preite di Enaip, "agente di rete" nelle carceri di Busto e di Varese. Che è stanco di sentir parlare di sovraffollamento: preferirebbe poter parlare dei progetti di recupero – valore costituzionale: la pena ha scopo rieducativo, non meramente punitivo, checché se ne pensi. «Parliamoci chiaro: un pronto soccorso nasce per l’emergenza, e in quella lavora, 24 ore su 24, sempre. Il carcere nasce con un’altra vocazione… ma è altrettanto in emergenza. Cosa dire quando i detenuti in cella sono oltre il doppio del dovuto? Il carcere è un servizio per il territorio: bisogna farsene una ragione, almeno porsi la domanda. Perfino chi, sbagliando, lo vede come discarica sociale, dovrebbe porsela: anche la discarica è un servizio, e quando è piena, è piena, punto». Con il carcere, aggiunge Preite, si parla di un servizio delicatissimo per la società che sta "fuori": ma lo si trova «fuori standard». «Ci si riempie la bocca di sicurezza, poi si riscontra questa miopia strategica». I "ristretti" (mai definizione fu più esatta) dovrebbero essere preparati a tornare in società, a pena scontata: «ma se chi sta dentro non ha la possibilità di ripensarsi un ruolo? Noi vorremmo poter dare a ognuno un’opportunità. C’è un problema culturale prima, politico poi: va deciso se il carcere è un servizio, e se no, che cosa sia. E se è un servizio, come crediamo, deve essere impostato in tal senso», con gli spazi e i mezzi opportuni.

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Pubblicato il 29 Settembre 2010
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