Dal giro del mondo a quello di Malpensa: la protesta di Livingston

"La compagnia è sana, ma ha sofferto del crac de I Viaggi del Ventaglio ed è rimasta senza aerei". In cinquecento formano una catena umana al Terminal1

Una singolare catena umana si snodava stamane per i vasti corridoi del Terminal 1 di Malpensa: quella di Livingston, formata da piloti, hostess e steward, personale di terra. In cinquecento – a tanto ammontano i posti a rischio – hanno fatto il giro del terminal, e  – "armati" con i carrellini che usano suli aerei – hanno offerto da bere a quanti passavano dal check-in, di fatto lavorando a terra visto che è ormai impossibile farlo volando.
La difficile situazione in cui si trova la compagnia aerea è spiegata da Erika Rivolta, Luca Vanossi, Stefano Tarquini, Matteo Vannucci. «Questa è la settima azienda del Varesotto per rilevanza – ricordano -. Fino alla fine di settembre abbiamo potuto volare, ma non abbiamo più aerei, e il 14 ottobre ci sarà sospeso il COA, il certificato di operatività aerea, in pratica il diritto di volare. Sono due mesi che non ci arriva lo stipendio e gli ultimi erano giunti in ritardo; precisiamo che non siamo strapagati, anzi due anni fa abbiamo dovuto accettare tagli del 20% e oltre, perdeno in media 300 euro a testa al mese, per adeguarci al mercato. Ora siamo qui insieme per sensibilizzare opinione pubblica e istituzioni».

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Girotondo triste a Malpensa 4 di 16

Mentre il serpentone percorreva lo scalo tra la sorpresa dei viaggiatori (salvo qualche clic fotografico), i portavoce ci spiegano che «la compagnia funzionava ottimamente, e potebbe farlo tuttora, ma sono gli aerei che ci sono venuti a mancare. Alla radice di tutto c’è il crac de i Viaggi del Ventaglio, che era nostra proprietaria e principale committente, ci ha lasciato un buco da 25 milioni di euro, il resto l’ha fatto la cattiva gestione successiva, il debito è andato ampliandosi». I dipendenti Livingston vogliono lavorare e volare, e si appellano a questo punto alle istituzioni: ai ministeri dello sviluppo economico e del welfare, dove ieri e oggi erano in programma incontri sindacali. «Il nostro appello – dicono – è perchè il ministero, in particolare quello dello sviluppo economico, si faccia tramite del subentro di nuovi proprietari visto che vi sono tre cordate di possibili acquirenti. Siamo la più antica delle compagnie charter in esercizio, esistiamo da 18 anni». Livingston è di fatto un’emenazione di Lauda Air. «Il paradosso è che la compagnia funziona, il personale è giovane, ha in media trent’anni; gli aerei, e parliamo di Airbus 330, perchè abbiamo puntato sulla qualità, se ci fossero sarebbero pieni: manca la liquidità».
C’è poi la questione nazionale, che il personale di bordo mostra di sentire molto. «Qui è un altro pezzo di Malpensa che se ne va, non si può andare avanti solo a Lufthansa e EasyJet, qui lo straniero ci caccia da casa nostra – si dice -. Dove finiamo di questo passo? Già l’italiano è svantaggiato in Europa, a causa dei protezionismi di fatto degli altri paesi, della richiesta della conoscenza perfetta e impeccabile delle lingue delle compagnie straniere, non solo l’inglese». Situazione che si bilancia relativamente solo sui mercati del Medio Oriente e dell’Asia, in espansione e affamati di piloti. Ma gli italiani sono gli italiani: «Voglio restare in Italia, lavorare da qui». Non è una richiesta irragionevole, nemmeno per chi gira il mondo per mestiere e oggi gira Malpensa per protesta, con un cartello al collo e tenendosi per mano.

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Pubblicato il 12 Ottobre 2010
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Gli striscioni dei lavoratori Livingston 4 di 10

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