“Vi mostriamo la casa dove espiantavano organi ai prigionieri”

In scena giovedì sera all’ex cinema Rivoli il documentario “La casa gialla” sulla guerra del Kosovo. Incontro con Cristian Elia, uno dei due giornalisti che hanno indagato sull’accaduto

«Tutti dovrebbero conoscere questa storia, anche noi come italiani abbiamo partecipato alla guerra in Kosovo ed è un dovere essere a conoscenza di tutti gli aspetti». La storia è quella de La casa gialla, il documentario di Cristian Elia e Nicola Sessa che sarà presentato giovedì sera, 18 novembre, alle 21.00 nella Sala Ex Cinema Rivoli di largo Bersaglieri a Varese. L’iniziativa, a ingresso gratuito, alla presenza dei due registi, è organizzata dal gruppo Emergency cittadino all’interno della rassegna di Un posto nel mondo.
 
La casa gialla racconta la storia delle persone scomparse in Kosovo durante il conflitto del 1999. Un lavoro che si concentra sul dubbio, che rende se possibile ancora più dolorosa la perdita, che alcune persone scomparse siano state vittime di un traffico di organi. «Si tratta di famiglie serbe, prima usate dalla propaganda di Belgrado, poi dimenticate e sacrificate in nome della ragion di Stato – spiega Elia, uno dei registi, 34 anni, inviato di PeaceReporter, già inviato in Medio Oriente e Balcani -. Questo lavoro vuole essere una riflessione sull’assenza, sul vuoto doloroso che la scomparsa di una persona cara lascia nelle vite di chi lo ha amato. I protagonisti potrebbero essere di qualsiasi Paese del mondo che ha conosciuto il dramma delle persone scomparse».
 
«Io ero già là del ‘99 – prosegue il coregista – e abbiamo deciso di riprendere questa storia. Dopo tanti anni la parte di indagine era molto complicata; quello che diventava interessante era raccontare la storia delle famiglie di queste persone scomparse. È peggio della morte per loro»
La vicenda della casa gialla, ripresa nel titolo, è l’edificio dove avvenivano gli espianti. Nell’impianto accusatorio del film viene tutto esplicitato. «Oggi ci vive una famiglia – continua Elia -, che oggi nega tutto. Sono state rilevate molte tracce di sangue nella casa, ma loro si sono sempre difesi dicendo che macellavano animali in casa. Hanno preferito dimenticare tutti questa storia perché le persone che verrebbero inquisite sono oggi nella classe dirigente del Kosovo. Chi avrebbe la responsabilità intellettuale di questo non si è mai assunto la responsabilità. Ma questa è una storia che non si può dimenticare».
 
Una vicenda che ha colpito molto gli autori: «Quando racconti storie di questo tipo, non distingue più le storie dalle persone. Al di là della storia con la “S” maiuscola, ti rimangono i volti della gente comune. In questi dieci anni non abbiamo mai dimenticato i volti di queste persone, era come se fosse dovuto fare qualcosa. Non c’è pace senza giustizia, un motto che dovremmo ricordare tutti. Per l’Italia quella guerra non è stata una come tante altre, vi abbiamo preso parte anche noi ed è corretto sapere tutto quello che è successo, nel bene e nel male».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 17 Novembre 2010
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