Egitto, sempre in piazza la protesta contro Mubarak

Forse cento i morti; il raìs silura il governo e nomina vicepresidente il generale Omar Suleiman, capo dei servizi segreti. El Baradei. "Mubarak lasci. Gli Stati Uniti decidano: o con il regime o con il popolo"

Egitto sempre in fiamme, con la rivolta che non demorde e più di cento morti negli scontri esposi ieri nel "venerdì della collera" e che proseguono anche in questo sabato un po’ in tutti i maggiori centri del popoloso Paese, storica cerniera tra Africa, Medio Oriente e Mediterraneo.
Manifestazioni di massa nelle piazze contro il presidente Mubarak, da trent’anni al potere; assalti ai ministeri e scontri con la polizia che più volte ha aperto il fuoco. Quasi nullo l’effetto del coprifuoco decretato ieri e reiterato oggi dal raìs, e che gli egiziano non hanno rispettato, continuando a manifestare. Almeno 100 le vittime dall’inizio degli scontri, almeno secondo la tv araba del Golfo al Jazeera; il governo si è dimesso, come richiesto dallo stesso presidente, si presume in un tentativo di calmare le acque. Si attende la nomina di un nuovo esecutivo: intanto Mubarak ha nominato vicepresidente, per molti con ciò successore, il generale Omar Suleiman, già a capo dei servizi segreti. La famiglia del raìs, secondo voci che si rincorrono, potrebbe essere in volo per Londra, incluso il figlio e delfino designato, Gamal Mubarak.

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Proteste in Egitto: al Cairo arrivano i carri armati 4 di 12

Si annuncia ancora una notte di coprifuoco con violazioni di massa, scattato già alle 15 ora italiana. Al Cairo, l’immensa capitale, è sempre la piazza Tahir l’epicentro della ribellione, circondato dai blindati dell’esercito. Le forze armate minacciano la mano pesante, e spesso mantengono, anche se si parla in più casi di fraternizzazione fra soldati e manifestanti. Molte le vittime, i feriti e gli arresti di questi giorni convulsi,. L’uso della forza è stato spesso sporporzionato, e ne hanno fatto le spese qualche volta anche i mezzi di informazione. La condanna di ogni violenza da parte dei governi occidentali ricade più sul regime egiziano che non sui rivoltosi; nondimeno, il capo di stato maggiore dell’esercito Sami Anan è rientrato appena ieri proprio dagli Stati Uniti dove capeggiava una delegazione al Pentagono. Le immagini che dall’Egitto rimbalzano in tutto il mondo nonostante il blocco di Internet testimoniano del caos che pervade i luoghi più visibili e nevralgici del Paese. Il Cairo, Alessandria, Ismailia, Suez, fremono nell’atmosfera della rivoluzione incipiente, nell’attesa di un cambiamento di rotta. La collera contro i lacrimogeni e i proiettili di gomma. La fragilità dei corpi contro la permanenza del potere.

Intanto la politica preme, e Mohamed El Baradei, leader dell’opposizione, invita gli Stati Uniti a prendere posizione e decidere con chi stare, se con il regime o con il popolo, e reitera il concetto che Mubarak se ne deve andare e devono essere indette libere e trasparenti elezioni democratiche. I Fratelli musulmani, influente e storico gruppo di ispirazione islamista, con un comunicato auspicano un "pacifico passaggio dei poteri". Fin qui il presidente assediato dalla protesta avrebbe ricevuto solidarietà solo dal sovrano assoluto dell’Arabia Saudita, re Abdallah. Sull’altro fronte, anche la Lega Araba, che per segretario l’egiziano Amr Moussa, prende posizione a favore di un cambiamento di politica: "la rabbia del popolo va presa in considerazione, la politica deve cambiare". E l’Iran comincia a guardare con molto interesse a quel che succede al Cairo: il regime teocratico della Repubblica Islamica nacque proprio sull’onda della rivoluzione che nel 1979 abbattè lo Scià, sostenuto dagli americani. Gli iraniani parlano ora di "un’onda islamica di giustizia" anche in Egitto, auspicando che le autorità "ascoltino la voce del popolo" ed evitino di ricorrere alla violenza. Paradossale, considerata la dura repressione degli oppositori interni attuata da Teheran.
L’Europa per parte sua assiste senza riuscire ad assumere una posizione forte. Il presidente UE, il belga Herman Van Rompuy, condanna la violenza e chiede il rispetto dei diritti umani e la libertà dei detenuti politici. Passi avanti non facili in Paesi nei quali lo stesso Occidente per decenni, per convenienza e quieto vivere, ha tollerato "uomini forti" e sostenuto regimi di dubbia popolarità. Anche se, emerge oggi dai tanti "cablo" diplomatici desecretati da Wikileaks, gli USA sarebbero stati a conoscenza da qualche anno, almeno in modo sommario, di un piano dell’opposizione democratica egiziana per sbarazzarsi di Mubarak proprio nel 2011, prima delle elezioni presidenziali, pur non reputandolo molto realistico.

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Pubblicato il 29 Gennaio 2011
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