L’omicidio Monterosso e le armi della guerra di mafia

A processo nel tribunale bustocco i presunti organizzatori dell'arsenale trovato nella ditta di Andrea Vecchia, l'imprenditore che decise l'omicidio del suo rivale Giuseppe Monterosso, freddato a Cavaria nel maggio 2009

I presupposti perchè tra le province di Varese e Como nascesse una guerra di mafia dopo l’omicidio di Giuseppe Monterosso, c’erano tutti e sono emersi dalle prime testimonianze al processo in Corte d’Assise a Busto Arsizio a coloro che avrebbero, secondo l’accusa, procurato le armi che l’avrebbero innescata: Calogero Palumbo, Giuseppe Luparello e Gaetano Ribisi. Una guerra di mafia che Andrea Vecchia, mandante dell’omicidio condannato a 20 anni di reclusione, aveva programmato insieme ai vertici del clan Messina-Albanese di Porto Empedocle contro Monterosso e la sua cerchia, affiliati ai clan di Caltanissetta, legati ai Madonia.

I tre sono accusati di avere, nei giorni successivi all’omicidio di Giuseppe Monterosso avvenuto il 6 maggio 2009 nella sua ditta di Cavaria per mano di Alessio Contrino, procurato, trasportato e occultato le armi che sarebbero dovute servire a compiere almeno un altro omicidio e per le eventuali vendette che il clan di Monterosso avrebbe potuto ordinare. L’omicidio fermato prima che si compiesse sarebbe stato quello di Salvatore Mastrosimone, accusato di aver partecipato all’incendio di 4 camion di Andrea Vecchia,Questa mattina, venerdì, davanti al giudice Luisa Bovitutti, sono sfilati i primi due testi dell’accusa, rappresentata dal pubblico ministero D’Amico: l’ispettore Maurizio Donini e il sovrintendente Giuseppe Peluso, entrambi della squadra mobile della Questura di Como.

Donini è stato ascoltato per primo e ha raccontato come, nei giorni successivi all’omicidio di Giuseppe Monterosso, è iniziata la collaborazione con il supertestimone Alessio Contrino, già considerato confidente della Polizia comasca da anni, grazie al quale la procura di Busto Arsizio e la questura comasca giunsero all’arresto di Andrea Vecchia, mandante e autore dell’omicidio insieme a Contrino, e al sequestro di armi che avvenne il 16 maggio nella ditta di autotrasporti del Vecchia, ad Albiolo in provincia di Como: «Fu lo stesso Contrino a prendere contatto con il sovrintendente Peluso, temeva che sarebbe scoppiata una vera e propria faida, e per questo lo chiamammo a deporre in questura il giorno dopo, era il 15 maggio, – racconta Donini – ci disse che proprio quel giorno stavano arrivando le armi, trasportate da un certo Cuntrera dalla Sicilia a Como».

Il sovrintendente Peluso spiega anche come mai conosceva già Contrino: «Era un confidente già dal ’94, appena arrivato dalla Sicilia – spiega Peluso – in un paio di occasioni ci permise il sequestro di armi e di droga. In particolare ricordo che nel 2008 ci permise di sequestrare una mitraglietta Skorpion che era stata richiesta da Andrea Vecchia». Il Vecchia, infatti, già da tempo era attenzionato dalla questura comasca perchè considerato un criminale di spessore con un legame forte con i boss della Sicilia. Insomma Contrino era giudicato attendibile dalla Squadra Mobile che si face raccontare dove fossero state nascoste le armi in arrivo dalla Sicilia quel giorno. Contrino, dopo le dichiarazioni, tornò alla ditta di Albiolo perchè incaricato di ospitare il Cuntrera a casa sua ma la sera stessa fu richiamato in questura, alla presenza del sostituto procuratore Isidori della Procura di Busto Arsizio. Dopo aver raccontato tutto anche al magistrato che seguiva le indagini la stessa Isidori diede l’ok all’operazione per eseguire il fermo di Vecchia, Contrino e Cuntrera e per recuperare le armi: «La mattina successiva (il 16 maggio 2009, ndr) facemmo intervenire i nostri uomini che erano già appostati attorno alla ditta dal giorno prima – racconta Peluso – trovammo 4 pistole, decine di cartucce e due giubbetti antiproiettile. Erano nascoste nei vari camion parcheggiati nel piazzale. Tra le armi sequestrate vi era anche la Smith and Wesson che aveva sparato a Cavaria contro Monterosso ed Ernesto Viero (un dipendente di Monterosso, ndr)». In quel piazzale vennero fermati anche Giuseppe Luparello e Calogero Palumbo, cognato di Andrea Vecchia.

Peluso ha anche ricostruito in aula, tramite i tabulati telefonici di Palumbo, Vecchia, Contrino e di Gaetano Ribisi, i contatti che vi furono e i viaggi tra la Lombardia e la Sicilia. Controllando tutte le celle alle quali si sono agganciate le utenze telefoniche dei 4 il sovrintendente Peluso ha ricostruito il viaggio effettuato da Vecchia e Contrino in Sicilia per incontrare Gaetano Ribisi, l’uomo che avrebbe procurato le armi secondo le dichiarazioni di Contrino, ma anche le diverse conversazioni telefoniche intercorse tra Palumbo e Ribisi, tra Palumbo e Vecchia. La ricostruzione dei tabulati conferma anche l’incontro tra Ribisi e Vecchia, avvenuto proprio nel paese di Ribisi, Palma di Montichiari.

La difesa di Giuseppe Luparello si è concentrata sull’ipotesi che lo stesso, dipendente della ditta di autotrasporti di Andrea Vecchia, fosse a conoscenza dell’arrivo delle armi e avesse partecipato ad una riunione il 4 maggio nel piazzale della ditta di Vecchia per l’omicidio Monterosso. Per l’avvocato Antonio Gaziano, Luparello non aveva partecipato a nessuna riunione con Vecchia e quella sera era presente nella ditta, attorno alle 19, solo perchè doveva riconsegnare il camion dopo una normale giornata di lavoro. A conferma di questa ipotesi c’è anche il tabulato telefonico che confermerebbe il fatto che Luparello fosse già a casa sua a Como alle 19,50.
Il processo riprenderà con l’udienza del 4 febbraio con l’audizione di altri testi.

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Pubblicato il 21 Gennaio 2011
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