Nuova cura per la sclerosi multipla, la Regione studia il metodo “Zamboni”

Il direttore del Centro delle Malattie Vascolari di Ferrara in Regione. La sua sperimentazione partità in cinque centri privati lombardi. Preoccupazioni per il moltiplicarsi di ricerche non coordinate

Una ricerca, non una terapia. È questo il punto da cui bisogna partire per parlare di quello che è stato ormai etichettato come il "metodo Paolo Zamboni" per la cura della sclerosi multipla. Il medico specializzato in Chirurgia vascolare è arrivato oggi in Consiglio regionale a Milano per incontare i membri della Commissione sanità. A loro ha presentato la sua sperimentazione nata a Ferrara nel centro delle Malattie Vascolari dell’Università degli Studi di cui è direttore. «Nelle mie ricerche – spiega  – ho notato che malformazioni che bloccano principali vene cerebrospinali possono essere legate a forme di sclerosi multipla. A questo punto abbiamo avviato un tavolo interdisciplinare che univa neurologi, chiurughi vascolari e radiologi. Così è nato il protocollo attivo in Emilia Romagna». In sintesi quindi, il metodo "Zamboni", ipotizza una relazione tra la sclerosi multipla e l’insufficienza venosa cronica cerebrospinale (CCSVI – qui una spiegazione), ossia la difficoltà di deflusso del sangue dal cervello al midollo spinale. In pazienti in queste condizioni, secondo il medico, l’angioplatica può portare a miglioramenti.
La sperimentazione, già attiva all’estero e in alcune regioni italiane, non è ancora attiva in Lombardia. Ad oggi, nella nostra regione, solo cinque centri privati – a Busto Arsizio, Como, Bergamo, Milano San Donato e e Istituto “Besta” – hanno contattato Zamboni e inizieranno, secondo un preciso protocollo, la sua sperimentazione. Parallelamente, altre realtà fra cui l’Ospedale del Circolo di Varese, hanno attivato da pochissimi giorni uno studio multicentrico per la diagnosi di CCSV (in questo caso, diversamente che nei cinque centri sopra citati, in regime di Servizio Sanitario Nazionale). Studio, quest’ultimo, che è indipendente rispetto all’attività di Zamboni.

Ed è proprio per capire come gestire la ricerca e le sperimentazioni sul territorio lombardo che la Commissione ha voluto incontrare Zamboni. La decisione nasce anche in seguito a una circolare emessa dal ministro della Sanità Fazio, ed inviata a tutte le Regioni, in merito ai criteri a cui attenersi per attivare la sperimentazione del professore ferrarese. Regione Lombardia si sta infatti muovendo per seguire la strada tracciata dall’Emilia Romagna e delineare un protocollo. «Pensiamo – spiega il vicedirettore dell’assessorato alla Sanità Luca Merlino – a un network di tre o quattro centri che portino avanti la sperimentazione. Nella "certezza" di procedure sicure potremo anche provvedere a finanziare nell’ambito del Servizio Sanitario Regionale».
Un’idea, quella della Regione come "regia", su cui insiste fortmente il Partito Democratico. «Sono partiti vari protocolli in maniera non coordinata – ha commentato Alessandro Alfieri –. Serve procedere con prudenza, attivare al più presto una regia che metta in relazione gli studi come quello avviato all’Ospedale del Circolo di Varese, le ricerche avviate dal professor Zamboni in 5 centri lombardi e le altre sperimentazioni che si stanno sviluppando autonomamente da parte di soggetti privati. Tutto questo serve a non alimentare le aspettative dei malati e delle loro famiglie che meritano che le sperimentazioni siano condotte con la massima correttezza».
Posizione condivisa dal collega dell’Idv Gabriele Sola. «E’ indispensabile farsi carico di un’opera di coordinamento tra le strutture ospedaliere al fine di raccogliere i dati e fornire spessore scientifico alla sperimentazione».

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Pubblicato il 12 Gennaio 2011
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