“Non è apologia di fascismo ricordare un fratello”

Stefano Clerici, Presidente Provinciale Giovane Italia Movimento Giovanile del Popolo della Libertà commenta la denuncia nei confronti di quattro militanti

Riceviamo e pubblichiamo

Se non fosse tutto vero, sarebbe da non crederci.
E invece è TUTTO grottescamente reale: in un Paese dai mille problemi, in una Provincia con un livello di consumo di stupefacenti tra i più alti d’Italia, in un territorio con livelli di immigrazione elevatissimi, assistiamo all’accanimento delle forze di Polizia nei confronti di quattro appassionati militanti della Giovane Italia, movimento giovanile del Popolo della Libertà, rei di aver affisso uno striscione in ricordo di un ragazzo assassinato 36 anni fa da Avanguardia Operaia.
Se non fosse preoccupante e gravissimo (tanto da spingere l’On. Paola Frassinetti a presentare un’interrogazione urgente al Ministro Maroni), sarebbe comico.
E invece è inquietante sapere che agenti di Polizia che dovrebbero presidiare il territorio e combattere la criminalità, lo spaccio, l’immigrazione clandestina, i furti, le rapine, gli stupri, trascorrano la notte in compagnia di quattro pericolosissimi malfattori ventenni armati di temibili striscioni.
Esito della nottata? Denuncia per “apologia di fascismo” (?!) a carico di quattro innocui ragazzi che ricordavano uno di loro: lo ricordavano in modo discreto, come facciamo ogni anno da 36 anni, affiggendo dei manifesti, srotolando uno striscione, camminando in silenzio per le vie di Milano fino a quella casa in via Amadeo dove la mamma di Sergio Ramelli, come sempre, ci aspetta per abbracciarci, come fossimo tutti un po’ figli suoi.
Non vi è nulla dell’apologia di Fascismo nel ricordare un fratello, un camerata.
Ebbene sì, tra di noi ci chiamiamo ancora camerati, crediamo nella comunità, facciamo politica per passione e tendiamo a non dimenticarci di chi ha sacrificato la sua vita a 18 anni per non essersi omologato, per aver scritto un tema sulle brigate rosse, perchè militante del Fronte della Gioventù.
Sergio Ramelli è morto così, ammazzato a colpi di chiave inglese (“Hazet 36, fascio dove sei?”) sotto casa, mentre tornava da scuola, da due membri del cosiddetto “servizio d’ordine” della Facoltà di Medicina di Avanguardia operaia.
Dopo quei tragici fatti c’è stata la condanna a tutti gli assassini. Tutte ovviamente brave persone: tutti studenti di medicina, tutti di famiglie borghesi, tutti soltanto “ribelli”. Sono ragazzi, in fondo. Poverini, non sapevano quello che facevano…
Certo, uno studente di Medicina come faceva a sapere l’effetto di una Hazet 36 calata con forza ripetutamente sulla testa di un ragazzo?
Ora sono tutti fuori, Brave persone, medici, professionisti con famiglia e figli.
Nessun rancore, per carità, hanno in parte pagato e risponderanno ancora del male che hanno fatto, ma di fronte a Dio.
Non chiediamo vendetta, ma lasciateci ricordare in pace, come diceva una canzone, “senza scomodare i morti, ma che almeno i nostri figli non conoscano quei torti”.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 29 Aprile 2011
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