Rosse e bionde: le signore del liberty che vivono in Valganna
Una visita alla birreria Poretti svela i segreti di un gioiello architettonico custodito in una valle rimasta ferma a cent’anni fa. L’ingrediente principale resta l’acqua dell’Olona
A stupire, di questa storia fatta di bionde e scure, di luppoli e di enormi tini per la cottura e la fermentazione, non è solo il gusto della birra, ma il posto dove viene prodotta. E colpisce come uno come Flavio Boero, responsabile qualità dello stabilimento Poretti-Carlsberg di Induno Olona, che in fabbrica praticamene ci vive, affermi proprio questo assioma: «Il liberty sarà un bello stile, gradevole e ricco di fascino, ma possiede le uniche caratteristiche che a me interessano: genera spazi che sembrano fatti apposta per fare la birra».
Volumi ampi e misure solo a prima vista spigolose; pareti austere e squadrate: tutto questo prima ancora di essere una residenza, è una fabbrica.
Anzi “la” fabbrica della birra made in Varese per eccellenza che una trentina di persone, grazie all’idea del sito valganna.info, ha avuto la possibilità di visitare qualche giorno fa in una giornata uggiosa, che migliore non poteva essere per tenere basso il profumo del luppolo in fermentazione. Aroma forte che tanti, ignari, avvertono passando in certe giornate con l’auto per l’inizio della Valganna, poco prima delle grotte, sotto la frazione ancora varesina di Bregazzana.
E qui, in questa valle dall’aspetto quasi selvaggio, senza troppi rumori e con l’acqua dell’Olona che sgorga cristallina, avviene l’artificio alcolico scoperto dagli antichi egizi, e oggi, per fortuna, ancora vivo: la birra.
Una pila infinita di sopralzi in legno, supporti, cassette, fanno da sfondo alla vecchia ciminiera, unico esempio di archeologia industriale – perché tutto il resto è in funzione – che sovrasta dall’alto gli stabilimenti di Induno Olona. Poi, attraverso un corridoio fatto di ricordi sotto forma di stampe fotografiche, si arriva all’impianto di imbottigliatura dove la catena – è sabato – rimane immobile come un mosaico verde di piccole bocche in attesa di essere colmate.
«Qui produciamo una birra tutta italiana che esce sotto forma di diverse marche – spiega Boero (nella foto, in un momento di relax, nel corso della degustazione al termine della visita guidata) – . L’ultima nata è la “7 luppoli”, una birra stagionale e di qualità, che abbiamo lanciato alla fine di settembre. L’intera produzione di Induno viene spedita nei magazzini di Settala: da lì raggiunge tutti i continenti». Ma chi stappa le bottiglie o le lattine di birra fatta con l’acqua di Varese? «La bevono gli italiani, certo, ma la nostra birra piace ai palati raffinati di inglesi, americani, belgi: non solo nostri connazionali espatriati o seconde generazioni, ma soprattutto consumatori del posto che amano il sapore della birra italiana».
Il cuore dell’azienda sta proprio in uno degli eleganti edifici alti, a colori grigi e gialli, custoditi da facce di pietra che dall’alto osservano chi entra. Vecchi tini di rame per la cottura dei cereali, e dipinti alle pareti: un tempo era proprio qui che avveniva la tostatura, che precedeva – e precede – la fermentazione. Oggi al rame viene sostituito l’acciaio. Le stagioni, che un tempo dettavano i tempi della produzione birraria, sono soppiantate da un ciclo produttivo che ha ancora a che fare con ingredienti naturali, ma che permette una produzione nell’intero arco dell’anno.
Poi si arriva alla "fontana degli ammalati": uno dei due rami dell’Olona che serve da ingrediente principale per la birra: lo stabilimento è stato realizzato proprio sopra un tratto del corso d’acqua. Solo gli spazi di produzione, conferma Boero, sono in molti casi ancora gli stessi realizzati un secolo fa: grandi edifici e spesse mura, che ancora oggi custodiscono la tradizione della birra varesina. Alle spalle degli immobili innalzati dall’architetto Ulisse Stacchini, proprio dove il tratto iniziale dell’Olona entra in azienda, un’altra sorpresa, svelata dall’organizzatore di questa visita, Paolo Ricciardi: qui, una volta, passava il tram della Valganna, che si fermava da queste parti per dare la possibilità ai viaggiatori diretti verso la Svizzera di farsi un sorso… di quella buona (anche a zero gradi alcolici).
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