Alle imprese varesine l’Europa non basta più

Conquistare i nuovi mercati è complicato. Se si vogliono vendere prodotti in Brasile o in Cina, bisogna essere lì in carne ed ossa, conoscere il contesto, i problemi e le soluzioni adottate da chi già opera in quei paesi. Unicredit lancia un piano triennale per accompagnare 3.400 aziende lombarde all'estero

«Le imprese varesine hanno saputo conquistare nuove quote di mercato, registrando un incremento delle esportazioni che ha permesso loro d’avvicinarsi alla cifra complessiva di sette miliardi di euro: quasi il dato globale di un Paese come la Grecia». Questa frase fu pronunciata nel 2003 dall’allora presidente della Camera di Commercio di Varese, Angelo Belloli, per sottolineare la propensione alle esportazioni del sistema varesino.
Dopo 9 anni, oltre al tracollo della Grecia, ciò che è cambiato è l’intero scenario mondiale e i suoi punti di riferimento. E in questa trasformazione epocale la crisi c’entra fino a un certo punto. È invece l’affermarsi di nuovi paesi sulla scena economica e i relativi mercati, condensati dalle sigle Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) e i Next eleven (Bangladesh, Corea del Sud, Egitto, Filippine, Indonesia, Iran, Messico, Nigeria, Pakistan, Turchia, Vietnam), a ridisegnare profondamente l’economia europea: quei paesi non sono solo dei concorrenti, ma anche mercati e potenziali clienti per il manifatturiero italiano. Fatto sta che quando si parla di propensione all’esportazione delle imprese varesine, ci si riferisce ancora e soprattutto ai paesi della zona euro, in particolare  il 49% degli imprenditori nostrani indica come mercati di sbocco quello tedesco, il 46% quello francese (fonte Istat), mentre i paesi emergenti rappresentano ancora una fetta troppo residuale, tanto che su 9 miliardi di euro di esportazioni, oltre il 50% riguarda paesi della Ue.  

Andare a conquistare i nuovi mercati è però molto complicato
. «Non te la puoi cavare mica con un catalogo» sintetizza in una battuta il direttore di Confartigianato Varese Mauro Colombo. Se si vogliono vendere prodotti in Brasile o in Cina, bisogna essere lì in carne ed ossa, conoscere il contesto, i problemi e le soluzioni adottate da chi già opera in quei paesi, perché un conto è la Francia, che sta nel cortile di casa, un conto è la Cina o la Corea, distanti fisicamente e culturalmente dal Vecchio Continente.
Tra le istituzioni, banche e associazioni di categoria c’è consapevolezza dell’esistenza di queste complicazioni e ognuno cerca di fare la sua parte. Univa (l’Unione degli industriali della provincia di Varese), ad esempio, ha istituito la figura di un tutor, cioè un imprenditore che già opera su quei mercati da tempo, che accompagna e aiuta i colleghi durante le missioni all’estero. «Non importa che siano concorrenti» spiega Gabriele Galante della Imf  di Luino, presente con aziende, joint venture o uffici di assistenza tecnica in paesi come Brasile, Cina, Repubblica Ceca, Francia, Russia, India e Stati Uniti. «Condividere le esperienze – continua l’imprenditore – è il primo passo per fare sistema sui mercati esteri come territorio. Un’azienda come la mia può crescere solo se tutto il contesto territoriale che la circonda riesce ad essere competitivo oltre confine».

Le banche in questo quadro giocano un ruolo fondamentale, perché senza credito non si va da nessuna parte. Unicredit, ad esempio, ha realizzato un programma ad hoc, “Unicredit per la Lombardia” (7,5 miliardi di euro in tre anni per finanziare la crescita delle imprese della Lombardia e di Varese) con interventi articolati su piani diversi che comprendono misure di incentivazione all’export e all’internazionalizzazione. Il colosso del credito italiano si è mosso sulla base di una ricerca condotta su 6 mila imprese italiane, di cui 1000 lombarde, presentata da Monica Cellerino (foto) alle Ville Ponti di Varese. «Dalle nostre interviste – spiega la responsabile per il territorio della Lombardia di Unicredit – ci siamo resi conto che gli imprenditori lombardi e varesini conoscono già il mercato europeo, e anche molto bene. Hanno invece bisogno di conquistare altri mercati di sbocco come Stati Uniti, Corea del Sud, Brasile, Cina e Giappone. Dunque, con molta umiltà, abbiamo dovuto ammettere che si partiva da una convinzione sbagliata».

Il piano triennale di Unicredit prevede di accompagnare 3.400 aziende all’estero con un programma di orientamento e formazione per imprenditori che si aprono all’export. «Grazie alla nostra rete di relazioni internazionali – continua la manager – noi possiamo tracciare un percorso di facilitazione nella ricerca dei clienti all’estero». In questo percorso sarà molto importante la capacità di aggregarsi in reti di impresa. «Oggi le difficoltà maggiori all’aggregazione – spiega Cellerino – dipendono da una classe imprenditoriale un po’ datata che ha ancora una visione individualistica del fare impresa. Il passaggio generazionale, invece, le favorirà».
La strategia di internazionalizzazione non puo’ prescindere da un piano di finanziamento dedicato, perché un errore che fa l’imprenditore quando va all’estero è di servirsi della normale linea di credito. «Facendo così – conclude Cellerino – c’è il rischio di inquinare tutto il sistema di finanziamento dell’impresa».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 31 Maggio 2012
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