Anna Bernardini; “Weiner e Panza, in mostra i risultati di un lavoro comune”

Il direttore di Villa Panza, spiega la nascita della mostra, frutto delle conversazioni tra il grande collezionista e l'artista

Il direttore della villa e collezione Panza, Anna Bernardini, illustra in questo documento "Esplorazioni" di Lawrence Weiner  l’evento in mostra fino al 10 marzo a Villa Panza: spiegando come sia il frutto diretto delle conversazioni tra il grande collezionista e l’artista. 

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Il Fondo Ambiente Italiano in collaborazione conAnna Bernardini a Villa Panza, tra le opere di Weiner JTI inaugura con la mostra "Esplorazioni" un programma espositivo pluriennale volto alla sistematica valorizzazione della figura di Giuseppe Panza di Biumo. Alla fine del 2009 Giuseppe Panza ha consegnato al FAI trentuno progetti autografi relativi ad artisti ed opere appartenenti alla seconda e terza fase della collezione (che ha preso corpo a partire dalla fine degli anni’60, con i protagonisti dell’Arte Concettuale e Minimale, e dagli anni’80 con l’Arte Monocromatica e l’Arte Organica), esprimendo il preciso desiderio che gli stessi venissero realizzati negli spazi al piano terra delle Scuderie della Villa, come documentano i disegni ad illustrazione degli allestimenti delle opere da lui selezionate e i relativi approfondimenti sugli artisti.

In collaborazione con l’Archivio Panza il primo appuntamento di questo speciale cicloEsplorazioni 1 è dedicato a Lawrence Weiner, classe 1942, (nativo del Bronx, New York) considerato unanimemente dalla critica internazionale come pioniere dell’Arte Concettuale, fu tra i primi a tradurre l’oggetto artistico in puro linguaggio. Risalgono al 1969 le prime opere di Weiner collezionate da Giuseppe Panza: un importante corpus di ben trentanove lavori databili dal 1969 al 1973 e riuniti dal collezionista milanese fino al 1976; un anno cruciale in cui terminò la prima e la seconda fase della collezione ed iniziò un periodo di stasi a causa della personale e difficile situazione economica di Giuseppe Panza.

Lawrence Weiner è un artista poliedrico che ha fatto del valore grafico della parola il suo principale mezzo di espressione. Dal 1967, infatti, il suo lavoro viene “formulato” ricorrendo allo strumento della lingua piuttosto che agli idiomi convenzionali dell’arte quali la pittura e la scultura intesi in senso tradizionale. Nell’ idioma della lingua Weiner ha scoperto il suo linguaggio espressivo, uno strumento che gli permette di rappresentare, nel mondo esterno e nel modo più oggettivo possibile, i rapporti materiali e che gli ha offerto la possibilità di eliminare ogni riferimento alla soggettività autoriale, cancellando ogni evidenza della mano, della competenza e del gusto proprio dell’artista.

«L’arte non è una metafora sul rapporto che intercorre tra l’uomo e gli oggetti, né su quello esistente fra gli oggetti e gli oggetti. E’ una rappresentazione di un fatto empirico che esiste», sostiene Lawrence, così come «Non rivelare il potenziale, né le capacità, di un oggetto (materiale) offre una realtà concreta, oggettivamente osservabile, o verificabile».

I lavori esposti a Villa Panza rientrano nella produzione dell’artista americano a cavallo tra la fine degli anni’60 e i primissimi anni’70, momento in cui Weiner, cancellando dal processo di esecuzione pittorica ogni traccia di abilità tecnica, talento ed espressività, sottolinea il ruolo generativo del titolo dell’opera e la crescente importanza dell’enunciato linguistico, contro la progressiva cancellazione dell’oggetto, che perde gradualmente il ruolo di riferimento primario.

Chiara, concisa, lapidaria e senza affettazione, la scultura di Lawrence Weiner, nelle vesti di dichiarazioni, sembra concepita, usando le parole dell’artista “per offrirci una ulteriore disponibilità, universale e condivisibile”. L’artista nel suo lavoro respinge sia il carattere letterale, che quello poetico. Ex allievo di filosofia, si concentra sulla materia, analizzandone le proprietà, i molteplici materiali, l’essenza, le condizioni, i processi, i comportamenti e tutte le funzioni empiricamente osservabili. Utilizzando caratteri di stampa eleganti ma funzionali, a guisa di monocromi d’effetto, siano essi stencil, dipinti, stampati o installati a rilievo, ne compone proposizioni scultoree in testi che descrivono processi, materia, relazioni.

Il 1969 è un anno fondamentale per il suo lavoro; concepì infatti “Statement of Intent” come manifesto:
L’artista può concepire l’opera.
L’opera può essere fabbricata.
L’opera non ha bisogno di essere costruita.
Ognuna di queste eventualità si equivale ed è conforme all’intenzione dell’artista. La scelta dipende dal destinatario all’occasione del suo ricevimento.
Questo statement chiarisce molti aspetti della ricerca intrapresa da Weiner in quegli anni, decentrando il ruolo tradizionale dell’artista e dando pari responsabilità per la produzione dell’opera ad un secondo soggetto, il collezionista e/o l’utente. Si sottolinea, così, il bisogno di accorciare le distanze tra la realizzazione e la fruizione e, nello stesso tempo, viene a dissociarsi radicalmente e definitivamente il momento della realizzazione concreta dell’opera da quello dell’ ideazione.
Per Weiner la parola è il veicolo principale dell’espressione e dal momento che le sue opere non sono concepite come opere uniche, ma come rappresentazioni infinitamente adattive agli stati delle cose o ad un processo, le stesse sembrano affondare le proprie radici nella realtà materiale senza esserne confinate. Possono così essere viste in innumerevoli situazioni possibili, e manifestarsi anche in forme diverse.

Nello statement è implicita la convinzione che l’arte non possa mai generare significati stabili e non contingenti, dal momento che le proposte visive e linguistiche sono sempre negoziate dialetticamente con il pubblico.

Da ONE KILOGRAM OF LAQUER POURED UPON A FLOOR (UN CHILOGRAMMO DI LACCA VERSATA SUL PAVIMENTO) e da 1000 GERMAN MARKS WORTH MEDIUM BULK MATERIAL TRANSFERRED FROM ONE COUNTRY TO ANOTHER (MATERIALE DI MEDIO VOLUME DEL VALORE DI 1000 MARCHI TEDESCHI TRASFERITO DA UN PAESE ALL’ALTRO) entrambi allestiti nella Limonaia e datati 1969, si evince la volontà dell’artista di formulare i lavori nello stile di enunciati, definendo la struttura materiale dell’opera in termini linguistici. Nella definizione delle opere le informazioni sui processi di produzione sono formulate con il participio passato. L’uso del participio passato nei suoi statements- generali o specifici- apre alla natura definitiva dell’enunciato e, nello stesso tempo, alla prospettiva di futuribili realizzazioni. La scelta del tempo insieme alla forma impersonale, ha continuato a garantire alle sue proposizioni il carattere oggettivo e neutrale di idee espresse come possibilità e non imposte come asserzioni autoritarie.

Una delle caratteristiche peculiari di questa tipologia di ricerca è che l’opera possa risultare significativa sia nella probabilità della realizzazione, sia, semplicemente, con riferimento alla forma linguistica del titolo.

Weiner usa la parola per comporre piccole frasi, senza un significato chiuso e preciso e senza una funzione letteraria. THE JOINING OF FRANCE GERMANY AND SWITZERLAND BY ROPE ( L’UNIONE DI FRANCIA GERMANIA E SVIZZERA CON UNA CORDA) del 1969 presentata in quest’ occasione nella Scuderia grande di Villa Panza, fu pensata e realizzata -come scrive Giuseppe Panza (in Ricordi di un collezionista, Jaca Book, 2006 p. 137) – a Basilea dove idealmente si sarebbero potuti riunire i tre Stati con una fune e dove, peraltro, esiste un punto geografico funzionale ad un simile accadimento. Evidentemente il valore della frase non si ferma a questa semplice constatazione ma intende suscitare un pensiero ulteriore “come l’idea di culture diverse che formano l’Europa o di guerre tra Stati confinanti” ( p. 138).

In una lettera di Lawrence Weiner a Giuseppe Panza datata 15 dicembre 1970 e conservata al The Getty Research Institute di Los Angeles (Giuseppe Panza papers 1956-1990) l’artista esprime la sua gratitudine sia per l’acquisto dell’opera WAEKENED FROM WITHIN (INDEBOLITO DALL’INTERNO, 1970) conservata oggi al SFMOMA di San Francisco, sia per l’accoglienza riservatagli in occasione della sua recente visita. Questa lettera, grazie soprattutto al contenuto dell’ intervista rilasciata a Lynn Gumpert (in Having been said writings and interviews of Lawrence Weiner 1968-2003, 2004 p.122) ci permette di assegnare una data precisa alle modalità di trasmissione delle opere dell’artista newyorkese. Lawrence Weiner rivela, infatti, nell’intervista che fu proprio Giuseppe Panza a studiare nei particolari le modalità di trasmissione dei suoi lavori. Panza adottò inizialmente, come veicolo di presentazione, la trascrizione delle opere su fogli dattiloscritti incorniciati da preziose e antiche cornici, e, subito dopo, forzando e radicalizzandone l’atto, utilizzò il muro come un display trascrivendo direttamente su di esso il contenuto del lavoro come ebbe modo di mostrargli durante il loro incontro nel 1970.

La trascrizione e la presentazione dell’opera direttamente sulla superficie muraria, che Lawrence fece propria da quel momento e in maniera definitiva, avvenne per intuizione di Giuseppe Panza. Con questa modalità di formulazione espressiva Panza generò – eliminando la mediazione di altri materiali e di altri strumenti – una istantaneità e una freschezza nella percezione dei lavori. La nuova veicolazione era frutto della visione e della intuizione del collezionista che proprio in quegli anni, attratto dalla cifra impersonale dello strumento visivo, si mostrò ancor più sedotto dal carattere site-related delle opere d’arte.

Il lavoro di Lawrence si è presentato nei vari decenni in diverse forme e linguaggi: dai primi film e video sperimentali, a performances e libri d’artista ed ancora in numerosi progetti su larga scala d’arte pubblica.

Il video A First Quarter del 1973 (in The Films and videos of Lawrence Weiner, a cura di Berthomen Mari, 1992) adotta i principi del cinema della Nouvelle Vague come suo modello: realtà simultanee, flashback alterati, giochi su tempo e spazio tutte componenti della forma e del contenuto del lavoro. Il film per Weiner rappresenta l’unica possibilità per evitare la scrittura estesa; nel video il dialogo riguarda esclusivamente l’opera e il mezzo è utilizzato come veicolo di presentazione, una sorta di una mise-en scènes della sua ricerca e del suo pensiero.

Il FAI insieme a Lawrence Weiner ha voluto rendere omaggio a Giuseppe Panza allestendo l’opera EARTH TO EARTH ASHES TO ASHES DUST TO DUST del 1970 (TERRA ALLA TERRA CENERE ALLA CENERE POLVERE ALLA POLVERE), proveniente dal Salomon R. Guggenheim di New York, sulla parete dello scalone della Villa. Abbiamo inteso ricostruire l’originaria installazione, come si può notare anche dalla ripresa fotografica di Giorgio Colombo datata 1981 e pubblicata in questo contesto. Lawrence, in quest’opera, fa riferimento a materiali che esistono in natura e alla realtà oggettiva, quasi in contrapposizione a quella letteratura tesa a descriverne gli stati esistenziali. La realizzazione di quest’installazione intende anche dar conto della parabola evolutiva nei criteri estetici che Giuseppe Panza aveva elaborato via via con gli anni: in un primo momento, mostrando una netta predilezione per l’ambientazione mediata da una scelta minimale e impersonale del mezzo visivo e poi – come è testimoniato anche dal progetto dell’ultima mostra da lui seguita sull’Arte concettuale al Mart di Rovereto del 2010 e dalla presente nelle Scuderie varesine- “stressando” e forzando l’oggetto e le sue dimensioni, la materia e la cromia.
Un grazie riconoscente a Lawrence e ad Alice Weiner per il generoso aiuto nella realizzazione della mostra. A Giovanna Panza, all’Archivio Panza di Lugano ed in particolare a Giuseppina Caccia Dominioni Panza, e Francesca Guicciardi Panza per la preziosa collaborazione ed infine a Jeffrey Weiss curatore della Panza Collection del Guggenheim di New York e a Garry Garrels direttore del SFMOMA di San Francisco per avere concesso il prestito delle opere.

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Pubblicato il 25 Gennaio 2013
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