Copiare non è un problema se si aggiunge valore

Intervista a Ivana Pais, docente di Sociologia del lavoro all’Università Cattolica di Milano. Contaminare, partecipare, scegliere: i vantaggi della “rete”

Ivana Pais è una sociologa del lavoro e parteciperà al convegno “La rete che moltiplica idee e progetti” organizzato da Confartigianato imprese Varese in avvicinamento al congresso 2013 in programma per lunedì 22 aprile, alle 18.30, ai Molini Marzoli Massari – Technociy (via Alberto da Giussano 10) di Busto Arsizio.  Con Ivana Pais, relatrice all’incontro con Fabio Lalli (fondatore e presidente di Indigeni Digitali), si parlerà di reti, social network, web, impresa.

Pais, come intervengono i social network nella trasformazione del modo di produrre, organizzare le imprese e vendere? Questi strumenti come stanno cambiando la società?
«I siti di social network (soprattutto quelli di tipo professionale) offrono servizi dedicati per incrementare la visibilità e la reputazione online, gestire e sviluppare la rete di contatti professionali e aumentare le opportunità di business (trovare o cambiare lavoro, trovare clienti, collaboratori e partner). I siti di social network trasformano il modo di produrre, organizzare le imprese e vendere lungo tre direttrici principali: la disintermediazione, il rapporto diretto tra produttori e consumatori, ma anche tra consumatori; la visibilità dei legami e delle transazioni; la facilitazione di logiche e pratiche collaborative».

Un fenomeno in crescita?
«In costante crescita e di cui è difficile tenere una mappatura aggiornata. Per fare ordine nella varietà delle piattaforme e dei servizi esistenti, ho proposto una tipologia costruita su due assi:
La finalità: ci sono social network prevalentemente orientati alla condivisione di informazioni e conoscenze e altri che, invece, puntano prevalentemente sullo scambio di beni e servizi;
Il grado di apertura: i social network generalisti permettono la costruzione di legami trasversali tra settori e figure professionali; i social network di nicchia, invece, stabiliscono confini che limitano l’interazione a legami orizzontali (tra persone che svolgono lo stesso ruolo, anche in settori differenti) o verticali (all’interno dello stesso settore, ma con ruoli differenti)».

Quindi tipi diversi di social per scopi diversi?
«Certo. Il primo tipo sono i social network “piazza”: tutti possono accedere, a prescindere dalla figura professionale, dal settore di appartenenza e dalla condizione occupazionale. Come in una piazza, le persone sono visibili a tutti e si possono formare dei gruppi di conversazione. C’è uno scambio di informazioni e conoscenze libero, che può poi portare a forme di scambio, ma come esito non immediato. I social network professionali di questo genere presenti in Italia sono LinkedIn, Viadeo e Xing.  All’incrocio tra social network generalisti e scambio di beni e servizi ci sono i social network “mercato”: sono aperti a tutti ma, a differenza della piazza, l’obiettivo principale è l’incontro tra domanda e offerta di lavoro. Si tratta di un servizio presente anche in LinkedIn, Viadeo e Xing, ma è una funzionalità accessoria; nei social network “mercato”, invece, questo rappresenta l’elemento centrale intorno a cui è costruita la piattaforma. Questi social network possono essere dedicati ai lavoratori dipendenti, come le piattaforme italiane Jobberone ed Egomnia, oppure ai lavoratori freelance, come Elance e Link2me. I social network “fiera” sono limitati a una nicchia professionale: per settore oppure per figura professionale. L’obiettivo è mettere in mostra il proprio lavoro, prevalentemente per favorire gli scambi di beni e servizi. Tra le piattaforme più dinamiche, ci sono i social network per imprenditori che cercano opportunità di business, come Officine Italiane Innovazione e H2Biz. Per questo, oltre ai principali servizi di social network (profilo, contatti, forum e gruppi di discussione), integrano servizi specifici per il business: e-commerce business-to-business, cambio merci, finanziamento di idee imprenditoriali, gruppi d’acquisto, ricerche di mercato ecc. L’ultimo tipo è l’auditorium: piattaforme di social network, generalmente limitate a una sola figura professionale, orientate allo scambio di informazioni e conoscenze, come Secretary o La scuola che funziona. Ovviamente si tratta di idealtipi, costruiti a partire dall’identificazione di polarità estreme, soprattutto rispetto al primo asse. All’interno di ogni quadrante convivono, in forme meno accentuate, anche le altre modalità, però questo consente di posizionare i diversi social network in relazione agli altri e di metterne in evidenza le specificità».

A che punto siamo, in Italia, nell’utilizzo dei social?
«In ritardo. L’ultimo rapporto Istat su cittadini e nuove tecnologie lo conferma: rispetto alla diffusione di internet nelle famiglie con almeno un componente tra i 16 e i 74 anni, l’Italia si posiziona al ventiduesimo posto della graduatoria internazionale (seguita da Portogallo, Cipro, Grecia, Romania e Bulgaria), con una presenza pari solo al 62%, a fronte di una media europea del 73% e la banda larga ferma al 52%, mentre la media europea è del 68%. L’Italia registra performance più modeste anche rispetto ad altri partner europei che presentano un analogo ritardo nei livelli di diffusione della rete: nell’ultimo anno è cresciuta solo di 3 punti percentuali. A livello individuale, la metà della popolazione di 6 anni e più (il 51,5%) naviga su Internet, il 28,3% lo fa quotidianamente».

Chi utilizza maggiormente i social?
«I maggiori utilizzatori di Internet sono i giovani tra gli 11 e i 24 anni (oltre il 78%); già tra le persone con età compresa tra i 35 e i 44 anni la quota di utilizzatori cala al 69,4% e scende sotto la soglia del 50% dopo i 54 anni. L’età spiega anche le differenze di genere: mediamente, naviga in Internet il 56,6% degli uomini e il 46,7% delle donne, ma tra gli over 54 lo scarto tra uomini e donne è pari a 17 punti percentuali, mentre nei ragazzi tra gli 11 e i 19 anni prevalgono le femmine.
La diffusione delle tecnologie presenta gli stessi squilibri territoriali del mercato del lavoro: la quota di persone che utilizza internet supera il 54% della popolazione nelle regioni settentrionali e centrali, scende al 43,6% nel Sud e al 44% nelle Isole; non raggiunge la metà della popolazione nei comuni fino a 2.000 abitanti (45,3%), mentre supera il 54% nei comuni centro e periferia dell’area metropolitana. E, ovviamente, varia in funzione dell’attività svolta. Se tra gli studenti raggiunge quasi il livello di saturazione (92,3%), tra gli occupati mediamente è pari al 71,7%: la quota più alta è registrata da direttivi, quadri e impiegati (88,3%), seguiti da dirigenti imprenditori e liberi professionisti (84,8%), lavoratori in proprio e coadiuvanti (60,4%) e operai e apprendisti (53,4). Tra le persone in cerca di occupazione raggiunge il 68,9% tra gli inoccupati e il 58,8% tra chi cerca una nuova occupazione. Mentre scende al 19,5% tra le casalinghe e al 14,7% tra i pensionati.
Il luogo dal quale navigano di più gli italiani è l’abitazione: l’88,2% degli utilizzatori accede alla rete da casa, il 35% dal luogo di lavoro, il 25,2% dalla casa di amici, il 14,2% dal luogo di studio».

Per trovare cosa, o chi, si naviga?
«Gli italiani utilizzano internet prevalentemente per scambiarsi messaggi di posta elettronica (80,7% delle persone che si sono collegate a Internet negli ultimi tre mesi), per acquisire notizie su beni e servizi commerciali (68,2%), documentarsi su temi di attualità (51%), usare servizi relativi a viaggi e soggiorni (49,3%), acquisire informazioni sanitarie (45,1%), cercare informazioni su attività istruzione o corsi (36,2%). Ricorre alla rete per utilizzare servizi bancari online il 32,2%, mentre è meno diffuso il suo utilizzo per scaricare software diversi da giochi (27,7%), effettuare videochiamate (25,7%) o telefonare online (23,3%), vendere merci o servizi (12,4%), per seguire un corso a distanza (6,5%) o sottoscrivere abbonamenti e ricevere regolarmente le news online (4,6%).»

Rete e imprese: quale è o dovrebbe essere il rapporto tra le due? Dal sopraggiungere della crisi economica gli asset economici, sociali, politici e civili sono sempre più instabili e dilatati. Con quali scelte e azioni le piccole imprese potranno crescere in competitività?
«La logica di rete dovrebbe permeare l’azione delle aziende: i siti di social network sono facilitatori, ma l’aspetto più importante è il rafforzamento di logiche connettive (anche offline) interne all’azienda e tra aziende. Attraverso la rete si coordinano e raccolgono diversi flussi di informazione e conoscenza in grado di determinare l’avvio di nuovi processi di apprendimento, ma soprattutto la creazione e diffusione di innovazione.
Inoltre, la rete permette di ampliare il proprio ambito di azione, con conseguenze rilevanti soprattutto rispetto al posizionamento nel mercato internazionale. Questo richiede un’azione intenzionale nel rafforzamento della propria visibilità, nella narrazione dei propri elementi di distinzione, nella costruzione di legami funzionali alla propria attività e nel monitoraggio dei contenuti veicolati attraverso le reti».

Lei è autrice del libro “La rete che lavora”: pensa ci sia ancora una certa forma di resistenza nei confronti della collaborazione o condivisione di saperi, tecnologie, esperienze tra i piccoli imprenditori?
«Sì, e non solo tra piccoli imprenditori. Fin da bambini ci hanno insegnato a nascondere il nostro compito ai compagno di classe che voleva copiare, siamo abituati a porci obiettivi individuali e a vivere il confronto come momento di valutazione, di competizione, non come occasione di crescita. La cultura della rete sta cambiando questo approccio, anche online: copiare non è più un problema, se si cita la fonte e – soprattutto – si aggiunge valore. Questo mette in discussione i modelli di business tradizionali e permette l’emergere di nuove pratiche basate sulla logica di condivisione e di scambio (la cosiddetta sharing economy)».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 19 Aprile 2013
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