Insulti sul web, parla la blogger condannata
Intervista a Linda Rando, 21 anni, sanzionata perché doveva vigilare sui suoi utenti: "Sono contro la censura, faremo ricorso perché io non sono un direttore di testata"
La bandiera della libertà di espressione su Internet, o il caso emblematico della necessità di maggiore responsabilità? Linda Rando, 21 anni, di Rovigo, è la blogger condannata a Varese perché alcuni utenti che intervenivano nel suo sito hanno diffamato una terza persona.
A soli 17 anni ha aperto un blog per parlare di letteratura. Aveva un sogno nel cassetto, pubblicare qualcosa, e ha cominciato ad approfondire proprio questo aspetto. Nel frattempo, il suo blog è diventato un forum. Ora è un sito molto apprezzato, si chiama «writer’s dream», dove si discute e si recensiscono le case editrici. Nel frattempo, per mantenersi lavora un call center, a Rovigo, la città da cui è partita questa avventura. Oggi il web parla di lei. L’avvocato Guido Scorza, nel suo blog, ha sintetizzato così la vicenda: Tizio diffama Caio, Condannata Sempronia.
Linda, come ti sei trovata in questa vicenda?
«Il blog è stato aperto nel 2008, avevo 17 anni, volevo condividere la mia passione per i libri e l’editoria, incentrandola sul focus della pubblicazione dei nuovi autori. Ho cominciato a recensire le case editrici, e una volta scoperta la pratica dell’editoria a pagamento, ho iniziato a suddividerle in 3 liste: quelle a pagamento, quelle a doppio binario (a volte fanno pagare, a volte no) e quelle non a pagamento».
Quindi siete contro la pubblicazione a pagamento, giusto?
«Certo, secondo noi farsi pubblicare un libro, pagando, è sbagliato. E’ come pagare per lavorare».
La tua iniziativa è nata già con un’impostazione critica, quindi vi aspettavate contestazioni, giusto?
«E’ nata per condividere gli scritti, ma poi ho deciso di approfondire, e fare una campagna per l’informazione corretta. Perché ci sono tanti editori a pagamento che fanno passare questa pratica come l’unico modo per poter pubblicare. Non abbiamo mai offeso nessuno, la nostra è una battaglia culturale».
Comunque suppongo abbiate già avuto qualche attacco.
«Le prime diffide e minacce di denuncia sono arrivate subito, dopo 5 mesi. Per questo abbiamo sempre rispettato la correttezza formale e verificato il più possibile tutte le affermazioni».
Prima di oggi il blog non ha avuto alcuna querela?
«No, a parte il caso già noto, solo minacce»
Veniamo al fatto specifico, la discussione nel tuo sito è aperta a chiunque?
«Per intervenire nel forum bisogna registrarsi con la propria mail e il nickmane, la conferma poi avviene tramite mail. Sul blog invece basta registrarsi. I commento contestati erano nel forum».
Quindi chi ha scritto i commenti si è registrato con la propria mail, giusto?
«Sì, ma una delle nostre osservazioni è che la procura non ha mai stata chiesto l’identificazione dei nickname».
Tu li avevi visti?
«Io non li ho mai visti, e non so dove siano di preciso. I commenti sono tanti e non saprei nemmeno dove cercarli».
Quindi non hai potuto cancellarli?
«No, non li ho visti».
Il sito non è una testata registrata?
«No».
Il tribunale non ha ritenuto però che questo fosse sufficiente…
«No, ma nel regolamento di chi si registra c’è scritto chiaramente che l’utente accetta la responsabilità di ciò che afferma e che le sue opinioni non coinvolgono il sito».
Per il tribunale non basta…
«Lo so, ma noi non siamo d’accordo, ricorreremo in appello»
Da cosa è nata la querelle?
«Ci fu una discussione con la casa editrice della signora di Cocquio Trevisago. Alcuni autori ci segnalarono che avevano firmato dei contratti in cui si diceva che se non avessero venduto le copie preventivate, alcune avrebbero dovuto acquistarle loro. Una cifra molto piccola in realtà. Così la casa editrice fu inserita nella lista di quelle a pagamento. La direttrice ci scrisse sul forum, ci furono molte pagine di discussione, in cui entrambe intervenimmo. La vicenda finì anche sul quotidiano “Il Giornale”. Il giornalista disse che avevamo fatto una “black list”, ma in quel momento avevano già tolto la casa editrice da quella categoria».
La conclusione quale fu?
«Che la casa editrice in questione non è una casa editrice a pagamento. Però credo che la denuncia fu fatta in seguito all’articolo di giornale, e da lì partì tutto».
Ora molti blogger si stanno mobilitando a tuo favore, qual è oggi la tua posizione?
«Io sostengo che ognuno è responsabile per ciò che dice. Il mio sito non è una testata, non sono un direttore editoriale. Sono contraria alla censura. Per tutelarmi mi regolo così. L’utente che esagera viene avvertito, se persevera viene bannato. Ci sono altre sentenze che hanno espresso un parere contrario a quella del tribunale di Varese».
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