“I 1.400 esuberi di Riva acciaio, conseguenza del provvedimento giudiziario”
Secondo l'Unione degli industriali della provincia di Varese, gli esuberi non sono una scelta aziendale, ma l’inevitabile conseguenza dell’applicazione del provvedimento di sequestro disposto dalla magistratura
Secondo l’Unione degli industriali della provincia di Varese, dalla lettura di alcuni giornali è emersa una interpretazione non corretta della vicenda che ha portato la Riva Acciaio Spa a sospendere le attività produttive in alcuni stabilimenti del Nord Italia, che danno lavoro a 1.400 addetti, ai quali vanno aggiunti i numerosi altri delle imprese dell’indotto (trasporti, manutenzione, ecc.)
Gli industriali varesini sottolineano in particolare che la vicenda è stata presentata da alcune testate come se si sia trattato di una decisione dell’azienda, addirittura quasi come forma di ritorsione nei confronti del provvedimento di sequestro preventivo disposto dal gip di Taranto. «Così non è stato – riporta una nota di Univa-. La chiusura degli stabilimenti è stata invece l’inevitabile conseguenza dell’applicazione del provvedimento di sequestro disposto dalla magistratura, alla quale l’azienda non poteva fare altro che dare attuazione. Un atto dovuto».
(foto sopra: Emilio Riva, presidente del Gruppo Riva Acciaio )
«Non si può fare a meno – continua la nota – di evidenziare il fatto che il provvedimento di sequestro, finalizzato ad assicurare la disponibilità delle risorse necessarie a coprire le spese di bonifica dell’impianto Ilva di Taranto, stimate in 8,1 miliardi di euro, rischia di provocare un danno superiore al risultato sperato. Ogni azienda, infatti, non si compone soltanto degli immobili e dell’insieme dei macchinari esistenti, ma anche delle professionalità dei lavoratori in grado di far funzionare quei macchinari, del parco clienti e del parco fornitori. Il prolungato fermo dell’attività produttiva anche soltanto di poche settimane, rischia di compromettere il patrimonio aziendale così come sopra ricordato. Non solo gli impianti finirebbero per deteriorarsi, ma soprattutto l’azienda finirebbe per perdere il patrimonio immateriale rappresentato dalle risorse umane e dalla quota di mercato detenuto, in quanto i clienti si vedrebbero costretti a rivolgersi a diversi fornitori, in questo momento soprattutto all’estero. Senza, considerare, infine la quota di export che andrebbe perduta. Nel caso di aziende del settore siderurgico tutto ciò avrebbe una gravità ancor più elevata per il fatto che l’acciaio è, dovunque, la struttura portante di un sistema industriale e deve essere quindi assolutamente preservata».
«È dunque necessario – conclude Univa – che venga trovata, nelle sedi competenti, una soluzione che, sul piano legislativo e giudiziario, consenta alla Riva Acciaio Spa la prosecuzione dell’attività produttiva nelle imprese interessate dal provvedimento di sequestro cautelare. Fatta salva l’esigenza di trovare le modalità più opportune per soddisfare l’altrettanto stringente esigenza della salvaguardia ambientale. Esigenza, peraltro, che nel caso di specie non ha alcuna diretta attinenza con i siti produttivi di Riva Acciaio Spa in questione».
Leggi anche "La storia delle acciaierie Riva"
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