Truffa della Primavera, Marelli torna uomo libero
Al termine dell'udienza del processo a suo carico il collegio giudicante ha revocato la misura dei domiciliari all'avvocato che si difende e ribadisce la propria estraneità. Anche Magarò lo scagiona: "Tutta responsabilità mia"
Dopo 10 mesi di arresti domiciliari l’avvocato Claudio Marelli è finalmente tornato ad essere un uomo libero. Lo ha comunicato questa mattina al termine dell’udienza del processo a suo carico per la truffa della cooperativa Primavera il presidente del collegio giudicante Adet Toni Novik che ha voluto attendere l’audizione di Quintino Magarò, ex-direttore e patron della Primavera già condannato in sede di patteggiamento, il quale si è preso tutte le responsabilità di quanto avvenuto negli uffici della cooperativa che aveva numerosi appalti in provincia e nel resto del nord-Italia.
«Claudio Marelli si occupava solo ed esclusivamente degli aspetti legali della cooperativa – ha raccontato alla corte e al pubblico ministero Magarò – ho modificato le buste paga dei lavoratori e me ne assumo la responsabilità per intero». Magarò non ha perso l’occasione per ribadire che l’avrebbe fatto per salvaguardare la cooperativa stessa dai ritardati pagamenti delle pubbliche amministrazioni alle quali fornivano servizi: «Non un euro di quei 400 mila contestati, è finito nelle mie tasche – ha detto ribadendo che – i miei beni sono a garanzia della cooperativa per un corrispettivo che è il triplo rispetto alla truffa per la quale sono stato condannato».
Una difesa, oltre che di Marelli, anche dell’onore, quella di Magarò che non ha esitato a far pagare ai dipendenti-soci scelte che lui stesso aveva fatto, vincendo gare a prezzi che la cooperativa stessa non poteva sostenere: «Cercavo di mantenere i costi del lavoro in linea con quanto era previsto nella gara d’appalto – ha spiegato ancora Magarò – Marelli venne a sapere cosa avevo combinato il giorno della perquisizione del Nucleo ispettorato del lavoro». Dopo Magarò è toccato allo stesso Marelli spiegare il suo ruolo e convincere i giudici che lui fosse all’oscuro di tutto. Marelli è apparso piuttosto agitato e ad un certo punto ha anche pianto: «La mia mente non avrebbe mai potuto mettere in atto un sistema tanto fantasioso – ha detto l’avvocato – quando ho saputo? Il giorno stesso della perquisizione mentre tornavo da Trieste dove mi ero recato con Magarò e Macchi per un appalto». Marelli respinge ogni addebito e prova a smontare il teorema dell’accusa rappresentata dal pubblico ministero Cristina Ria la quale mostra corrispondenze via email, rammenta a Marelli dichiarazioni di una delle impiegate della Primavera che adombrano la possibilità che lui sapesse.
Infine è stato il giudice Novik a porre una domanda all’imputato, in merito ad una telefonata tra Riccardo Macchi, allora amministratore della società, e la moglie nella quale la donna fa riferimento sia a lui che a Marelli dicendo «Sapevate in che casino vi avrebbe portati» e Macchi risponde: «Dovevamo fermarlo tempo fa e invece ha fatto i suoi porci comodi». La difesa di Marelli è stata alquanto originale: «Macchi è succube di sua moglie – ha detto ai giudici – e si comporta come dottor Jeckyll e Mr Hide, in privato dice parolacce e usa un linguaggio irriguardoso e in pubblico è un agnellino». La difesa di Marelli, rappresentata dall’avvocato Francesca Cramis, ha cercato di smontare la credibilità di coloro che sostengono che Marelli sapesse, sottolineando alcuni intrecci esistenti tra persone che lavoravano nella cooperativa o grazie ad essa. Esaurita l’istruttoria, nella prossima udienza del 17 ottobre si passerà alla discussione di accusa e difesa e, probabilmente, alla sentenza.
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