“Ad Auschwitz ho ascoltato la disperazione in tutte le lingue d’Europa”

Nell'Aula Magna dell'Università dell'insubria Goti Bauer, sopravvissuta ai campi di sterminio, ha raccontato la sua storia ad oltre trecento ragazzi delle scuole superiori. Fabio Minazzi (filosofo): «La memoria è importante, ma da sola non basta. Deve essere legata alla conoscenza»

Fabio Minazzi è un filosofo e ai filosofi spetta il compito di porre le questioni fondamentali dell’esistenza. E quando si ha davanti a sè una platea di trecento studenti e al proprio fianco Goti Bauer, ebrea sopravvissuta ad Auschwitz e alla Shoah(lo sterminio sistematico degli ebrei d’Europa da parte dei nazisti), la domanda fondamentale è: ricordare ciò che è stato è sufficiente? «La memoria è importante, ma non basta – dice Minazzi – perché deve essere legata alla conoscenza che dovrebbe essere la nostra mission in quanto università».
La questione posta da Minazzi è centrale nel dibattito sul “Giorno della memoria”, che cade il 27 gennaio e venne istituita nel 2000 con una legge dello Stato. Ma se c’è voluto il legislatore per imporre di ricordare a tutti gli italiani quello che era successo, forse i luoghi deputati alla conoscenza hanno fallito la loro missione. Elena Loewenthal, scrittrice e importante intellettuale dell’ebraismo italiano, nel suo pamphlet “Contro il Giorno della Memoria” (sottotitolo Una riflessione sul rito del ricordo, la retorica della commemorazione, la condivisione del passato) spinge questa riflessione verso una legittima conclusione: «La memoria non porta con sé alcuna speranza. La cognizione del male non è un vaccino. “ricordare perché non accada mai più” è una frase vuota».

Goti Bauer, all’alba dei suoi novant’anni, ricorda le vicende della sua famiglia con lucide parole. E per due ore nell’Aula Magna dell’Università dell’Insubria si sente la sua voce nitida avvolta in un silenzio sgomento. La sua è una storia che ha una scansione precisa: l’umiliazione delle leggi razziali del 1938, l’isolamento dalla comunità, l’ansia come compagna di vita quotidiana e, dopo l’8 settembre del ’43, la ricerca frenetica di una via di scampo. Nel febbraio del ’44 la famiglia Bauer dedice di fuggire dall’amata Fiume (oggi Rijeka, città croata) per arrivare con documenti falsi a Viserba. Non essendo al sicuro nemmeno sulla costa romagnola, si trasferisce a Milano per cercare la salvezza in Svizzera, ma tradita dai passatori viene catturata a Cremenaga in provincia di Varese mentre tenta di varcare il confine. «È stata una corsa drammatica per cercare di metterci in salvo – racconta Goti Bauer -. A volte mi sveglio di notte con il ricordo della tensione e dell’angoscia di quegli anni».
Dopo la cattura, ad attendere la famiglia Bauer, padre madre e due figli, c’è il carcere: prima Varese, poi Como e infine il quinto braccio di San Vittore, a Milano, dove venivano rinchiusi tutti gli ebrei in attesa di essere deportati nei campi di sterminio. Dal Binario21 della Stazione Centrale i Bauer partono alla volta del campo di Fossoli e da lì per Auschwitz dove arriveranno la mattina del 24 maggio del 1944. «Sono stati otto giorni di viaggio lunghissimi – racconta Goti Bauer –. E ancora oggi mi chiedo che cosa pensassero tutte quelle persone, soprattutto i contadini, che vedevano passare i nostri convogli, stipati di esseri umani affamati e assetati. È mai possibile che non si siano fatti una sola domanda su quello che vedevano?».
Per un sopravvissuto ad Auschwitz che ha ascoltato la disperazione in tutte le lingue d’Europa, c’è una sola parola che è rimasta tatuata nell’anima: «selezione». E quando Goti Bauer la pronuncia, nella sua mente si materializza il volto della madre che cammina dalla «parte sbagliata», verso le camere a gas. «Aveva 44 anni ed era ancora giovane – racconta la donna -. Ricordo il suo ultimo sguardo, quando si è girata mentre stava andando di là. È un’immagine che ho presente a quasi sessant’anni di distanza, come se capitasse in questo momento. Da lontano mi ha fatto un cenno di saluto e probabilmente, più di me, aveva capito che era un saluto definitivo».
Le domande degli studenti arrivano puntuali, ma ce n’è una che coglie un’altra questione importante: che cosa dobbiamo rispondere a chi nega la Shoah e sostiene l’ideologia nazista?
«Forse a questa domanda è meglio che risponda il professore» dice Goti Bauer. E la risposta del filosofo Minazzi non si fa attendere: «Non possiamo impedire agli altri di pensare qualcosa. Ma abbiamo il diritto ed anche  il dovere di esprimere il giudizio morale che deriva dalla nostra conoscenza».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 22 Gennaio 2014
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