La parete da arrampicata che nasconde una nuova idea di economia

A Castronno sta nascendo un nuovo modello di economia sostenibile. Merito di una palestra per arrampicata, di un imprenditore visionario e di un gruppo di ragazzi che amano osare

"Un uomo con un’idea è un matto fino a che quell’idea non ha successo". Questa massima ben si adatta alla figura di Simone Maccagnan. Un "ragazzo" di 36 anni che a Castronno lavora nell’azienda di famiglia e tra un aereo per il Giappone e uno per gli Stati Uniti, trova il tempo per dedicarsi a una delle sue passioni: l’arrampicata. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare la sua ultima idea, la parete per arrampicata che verrà inaugurata tra tre settimane nella palestra del comune. Da questa struttura colorata, realizzata con l’aiuto di alcuni amici e grazie al sostegno della amministrazione comunale, sta nascendo qualcosa di grande.

«Circa due anni fa ho ripreso ad arrampicare. Volevo realizzare una parete dietro casa. Poi mi sono fermato, ho chiamato il comune di Castronno e gli ho detto che mi sarebbe piaciuto realizzarla per tutti».

E cosa hanno risposto?

«Erano entusiasti. Mi hanno detto che c’era un’associazione in paese, la Terven, che sarebbe stata disposta a darmi una mano e di parlare con Daniele Zambon, il presidente dell’associazione. Il resto della storia lo puoi vedere qui».

Chi ha partecipato alla costruzione?

«Oltre ai ragazzi di Terven, il Cai con Bruno Barban, Moreno Novello che ci ha messo tempo e materiale, Fabrizio Turco che ha disegnato il tutto, Danny e Davide Battilana che sono stati il vero braccio operativo del progetto e il comune di Castronno».

Una bella impresa. E il vostro lavoro di tutti i giorni non ne ha risentito?

«È successo esattamente il contrario. Lavorando con questi ragazzi inizio a confrontarmi con le loro idee e scopro degli spunti interessanti per la mia attività professionale».

Cioè?

«Durante la progettazione ci siamo conosciuti meglio e ho scoperto che il gruppo, oltre ad essere molto giovane, ha una formazione molto varia. Daniele Zambon, Zambo per gli amici, è un matematico. Gabriele Gattere, alias Gatte, è un ingegnere meccanico che lavora per una grossa azienda del settore. Paolino Magnoni, un ingegnere robotico, è ricercatore al Cnr. Simone Bertoni è un chimico, mentre Daniela Basei è ingegnere ambientale e Marta Caravà filosofa».

Un bel gruppo.

«Sì e soprattutto molto intraprendente. Un bel giorno Simone viene da me dicendomi di voler portare avanti la tesi di Daniela. Così una sera li ho invitati da me, nella sede della Gimac, per parlare tutti insieme del progetto di tesi che, nello specifico, riguardava l’idrogeno».

Strano modo per passare una serata tra amici…

«In effetti….Ma non ci siamo limitati a trovarci solo tra di noi. Alla serata abbiamo invitato anche Rinaldo Sorgenti, presidente di Assocarboni, che in videoconferenza da Milano, si è prestato ad essere intervistato sullo strapotere delle multinazionali del carbone e delle fonti fossili. C’era anche il sempre "giovane" Giorgio Stiavelli, ingegnere aeronautico ha collaborato anche al progetto dell’Apollo 11».

E come è andata a finire?

«Molto bene. Quella sera, il 6 febbraio del 2014, è stata la prima occasione per capire che si poteva realizzare qualcosa di grande insieme, o per lo meno divertirci».

Cioè?

«Dopo quella sera ci siamo ritrovati per parlare di stampanti 3D. L’idea era quella di trovare una lacuna nell’attuale settore delle stampanti tridimensionali nella quale la nostra comunità potesse distinguersi creando qualcosa di nuovo».

E ci siete riusciti?

«Diciamo che ci stiamo lavorando. Comunque di lacune ne abbiamo trovate tante, soprattutto in termini di dimensioni stampabili e di materiali».

Sembra che tu abbia trovato un grande potenziale in questo gruppo…

«Sì, è vero. Solo un anno fa tutto questo sembrava un sogno, oggi è realtà. Per me aver trovato gente così intelligente vicino a casa è semplicemente fantastico. La mia idea ora è quella di coinvolgerli all’interno dell’azienda e di far diventare opportunità concrete quelle che adesso sono solo una potenzialità».

Facile a dirsi, ma nel concreto come si fa?

«Vorrei trovare il modo di collaborare e regolamentare in maniera sostenibile questa comunità; mettendo a disposizione le tecnologie e gli spazi di cui dispone la Gimac per sviluppare tutte le nostre capacità».

E non basta uno stage di formazione?

«In Gimac ne facciamo continuamente. Ma nella formuala dello stage, così com’è, ci sono dei limiti spaziali e temporali. Invece pensa ai vantaggi che potrebbero esserci nel coinvolgere risorse vicine, locali e specifiche, senza che queste siano legate a delle regole troppo vincolanti».

Usi spesso il termine comunità. Perché?

«Perché rappresenta l’idea di un’economia nuova, in cui ognuno partecipa a qualcosa che è di tutti, non solo ideologicamente. Una comunità molto piccola e multi-tematica come la nostra è virtuosa perché è capace di investire su stessa. La nostra civiltà tende ad aggregarsi lungo delle strade invece che attorno a dei punti. Oggi però siamo passati dal punto, dalla linea, alla struttura tridimensionale».

Prego?

«Cerco di essere più chiaro. Per i miei affari sono una persona che si muove tra Castronno e il mondo. In questo modo costruisco la mia rete di conoscenze che risponde agli interessi della mia comunità di appartenenza, ma questa stessa comunità può diventare risorsa per tutte le altre comunità che incontro in giro per il mondo. Una struttura tridimensionale, efficiente e completamente sostenibile».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 17 Aprile 2014
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