Imprese troppo dipendenti dalle banche, usate i minibond

Le emissioni di obbligazioni, come forma di finanziamento, da parte delle pmi in Italia sono ancora pochissime. Se n'è parlato ai Venti dell'innovazione, organizzati dalla Camera di Commercio

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«In genere i convegni sulla crisi finiscono come le partite di calcio. Ma qui non si tratta di sconfiggere qualcuno e tantomeno le banche, si tratta invece di capire come riequilibrare le forme di finanziamento delle imprese verso altre fonti». Roberto Calugi, coordinatore del consorzio camerale per il credito e la finanza, sa benissimo che, anche in presenza delle migliori intenzioni, quando si parla di stretta creditizia il terreno è a dir poco minato. La puntata pasquale dei Venti dell’innovazione, organizzati alle Ville Ponti dalla Camera di Commercio di Varese, ha riservato ai presenti una bella sorpresa, un po’ per l’argomento, ovvero la finanza innovativa, un po’ per gli interlocutori, che hanno reso interessante una materia non proprio facile da digerire.

Se è vero che l’emissione di obbligazioni da parte delle imprese per finanziare il proprio business non è la panacea di tutti i mali, è altrettanto vero che i minibond rappresentano una strada reale per aggirare la stretta creditizia, soprattutto per le piccole e medie imprese. Una strada resa facilmente percorribile dal legislatore attraverso i decreti «Destinazione Italia» e «Sviluppo Italia» che, avendo aperto moltissimo alla cartolarizzazione delle obbligazioni societarie, permettono alle imprese di accedere con più facilità anche ai capitali stranieri. «Grazie ai minibond – sottolinea Canugi – le nostre aziende possono diversificare le fonti di finanziamento, sono meno dipendenti dalle banche e promuovono una maggiore trasparenza».

I dati rivelano che la patrimonializzazione delle imprese italiane è composta solo per il 3,4 % da obbligazioni, contro il 6,7% della Francia, il 12% del Regno Unito, il 14,6% degli Stati Uniti. Mentre i prestiti si attestano al 34,7%, contro il 29,1%, 27,5%  e 22,5% rispettivamente di Germania, Regno Unito e Francia. Le imprese italiane sono dunque troppo bancocentriche, aspetto che costringerà le aziende a una vera e propria rivoluzione culturale. «Il minibond si aggiunge al credito bancario, non lo sostituisce – precisa Claudio D’Auria, docente dell’università Guglielmo Marconi di Roma -. La sua funzione è importante perché ha riflessi immediati sulla reputazione aziendale, stabilizza le forme di raccolta di capitali, evitando i bruschi rientri imposti dalle banche, e migliora la gestione delle proprie passività».

Secondo Roberto Culicchi, dello studio legale Hogan Lovells, il mercato dei minibond, grazie al legislatore, ha superato i due grandi ostacoli che in qualche modo ne tarpavano lo sviluppo: da una parte il trattamento fiscale delle garanzie per le obbligazioni emesse da società non quotate in borsa, dall’altra lo snellimento della procedura. L’emissione di minibond, che sono negoziati sul mercato Extramot (mercato telematico delle obbligazioni), puo’ essere un valido test per la successiva quotazione in borsa. Insomma, un’operazione pre Ipo (offerta pubblica iniziale), come nel caso della Bomi Italia spa, società di servizi specializzata nella distribuzione di prodotti biomedicali, e allo stesso tempo un modo per verificare la reputazione della società, considerato il taglio minimo dell’emissione (1,5 milioni di euro) e il tasso fisso nominale (7,25%) piuttosto allettante. «Per noi il mini bond è stata una sorta di family and friends – dice Andrea Nardocci – in quanto ci siamo rivolti alla stretta cerchia di amici e famigliari. È stato un primo passo per saggiare i meccanismi di mercato con l’obiettivo di finanziare lo sviluppo della società e ampliare le fonti di finanziamento».

Ad oggi le emissioni di minibond in Italia sono ancora pochissime: una quarantina a livello nazionale, dieci in Lombardia, nessuna a Varese dove, secondo i dati formiti dalla Banca d’Italia e diffusi da Unioncamere, gli istituti di credito a dicembre 2013 hanno fatto registrare un +4% per quanto riguarda la raccolta di risparmio e un -7% per quanto riguarda gli impieghi. Un dato, quest’ultimo, che andrebbe analizzato nel dettaglio.
«L’Italia in questo momento – chiude Carlo Ranalletta Felluga, giovane confindustriale friulano e componente comitato tecnico del fondo Blue Lake – è appetibile per i mercati finanziari perché è un Paese strutturato, sta avviando riforme importanti e ha rendimenti da paesi in via di sviluppo».

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Pubblicato il 16 Aprile 2014
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