Gli antifascisti contro i manifesti dell’ultradestra: “La verità è vostra nemica”

Diverse realtà partitiche e associazioni hanno inviato una nota per ribattere alle affermazioni del consigliere ex-Pdl Francesco Lattuada sui manifesti abusivi apparsi a Busto il 29 aprile scorso in memoria di tre "camerati"

A proposito dell’articolo pubblicato su Varesenews del 7 maggio in Busto Arsizio dal titolo "Nessuna apologia, al massimo è affissione abusiva" in merito all’affissione di alcuni manifesti dedicati alla commemorazione di Sergio Ramelli, Enrico Pedenovi e Carlo Borsani Sel Busto Arsizio, PdCI Busto Arsizio, Antifascisti sempre Busto Arsizio e Associazione. E. Curiel Busto Arsizio hanno inviato un comunicato.

Che la verità sia nemica della destra italiana e ancor di più dell’estrema destra, lo testimonia la Storia. Fin da quando Benito promise l’Impero sulle spalle di un popolo mandato al macello. Che la non verità permetta così di presentarsi al meglio ‘in società’ fregandosene della Costituzione e dei suoi principi base (affiggere manifesti abusivi, nonché fascisti su tabelloni elettorali è affiggere il "me ne frego" di norme, regole, diritti e doveri, ma la prepotenza continua a muovere le mani dei camerati) è lo stile di questi ultimi decenni, che hanno fatto anche le fortune di spazi di aggregazione giovanile che sbandierato il proprio qualunquismo, in sostanza diventavano luoghi di formazione di senso e consenso.

Che il "doppio forno" funzioni in termini di comunicazione lo si coglie dall’abilità di certa destra di attribuire "anticume" (quando addirittura ‘colpevole e provocatoria irriducibilità”) a chi si dichiara antifascista e per questo, nell’alveo della civiltà, ricorda, commemora e agisce, per poi potersi permettere di giocare pericolosamente ai nostalgici piangendo la morte del Duce e
commemorando i morti di destra degli anni ’70. Ma questa doppiezza accompagna da sempre l’estrema destra italiana: antistato e antiamericana a parole, nei fatti bieca manovalanza del potere fino anche nelle sue forme eversive.  La "banalità" del male sta anche nel banalizzare fino a rendere normale i segni di un pensiero che le civiltà del dopoguerra hanno scritto fosse messo al bando: affissione abusiva di manifesti fasci al pari dei volantini ‘Viva gli sposi’…li si vieti e multi entrambe.

Questo è il concetto riportato nell’articolo. Ma chi si vuole pigliare in giro? Fare ‘di tutta un’erba un fascio’ o scegliere cosa sì e cosa no? Fra un fascio di rose per la sposa e ‘un fascio’ la scelta è per Costituzione obbligata, oltre che gesto elegante per la signora. "’Camerati’ che non indica un’organizzazione e non costituisce reato è un termine di origine militare che non ha nulla a che vedere con chissà che cosa" (dall’articolo in Prealpina), e di nuovo, chi si vuole pigliare in giro? Si spieghi dove sta il "militaresco" fuori dalle sedi istituzionali delle forze regolari e dei luoghi, ruoli e compiti loro assegnati. Se uno con celtica sulla maglietta e braccio teso urla "camerati" è da interpretare come un soldato mimetizzato in missione speciale in certe curve di certi stadi o come un fascio in libera circolazione?

E a proposito della croce celtica. L’articolo riporta l’affermazione di Lattuada circa "il simbolo postfascista" (affermazione da articolo in La Prealpina) "usato dalle destre di tutta Europa" ( affermazione da articolo in Varesenews). Tutte le destre o quali destre? Transeat, chi si sente di appartenere ad una destra "non celtica" batta un colpo. Sulla "celtica" che siglava i manifesti in questione riportiamo di seguito quanto scrive L’Osservatorio Democratico sulle Nuove Destre e non è opinione, ma storia…che Lattuada ha omesso o non conosce?

Storia politica della croce celtica
Dalla Divisione delle Waffen Ss Charlemagne all’Oas, da Jeune Europe al Fuan
Redazione – Osservatorio democratico – 13/01/2009

"Anticipiamo alcune pagine dell’ultimo libro di Saverio Ferrari ‘Le
nuove camicie brune. Il neofascismo oggi in Italia’, edito dalla
Biblioteca Franco Serantini.

La croce celtica ha origini che si perdono nel tempo. Non vogliamo qui disquisire circa l’epoca in cui apparve per la prima volta o sulla natura della sua provenienza, cristiana o pagana. Incentreremo la nostra attenzione esclusivamente sull’uso che se ne fece a partire dal secondo conflitto mondiale. Comparve per la prima volta nel 1944 come mostrina speciale creata per i volontari francesi nelle Waffen-Ss della futura Divisione Charlemagne. I tedeschi inizialmente non l’autorizzarono, ma fu comunque subito adottata da un’unità della Charlemagne, all’epoca
ancora una Brigata: la Compagnia Flak che fu impiegata a Monaco nella difesa contraerea. L’intenzione era di assumerla come mostrina ufficiale della Divisione, ma non si ebbe il tempo, data la fine della guerra e della Charlemagne stessa, che combatté l’ultima battaglia,
prima di arrendersi, a Berlino attorno al bunker di Hitler. In questo antefatto la ragione storica per cui la croce celtica divenne il principale emblema delle organizzazioni neofasciste
francesi fin dall’immediato dopoguerra. Non a caso fu proprio un ex appartenente alla Charlemagne, René Binet, cultore delle sua “gesta eroiche” (editò anche un bollettino, “Le combattant europeén”, che riproduceva quello dei volontari francesi nelle Ss), nonché autore di
alcuni libelli violentemente razzisti (Théorie du racisme e Contribution à une éthique raciste), a introdurla come stemma distintivo delle organizzazioni cui diede vita: il Parti repubblicain d’union populaire, nel 1946, e il Mouvement socialiste d’unité francaise, che nonostante l’ambiguità della denominazione, venne sciolto nel 1949 per incitamento alla violenza nazista.
La croce celtica fu poi il simbolo di Jeune Nation, fondata alla fine del 1949 dai fratelli Sidos, propugnatrice di uno Stato totalitario fascista. Un’organizzazione, passata alla storia soprattutto per le spedizioni squadriste contro i militanti e le sedi del Partito comunista, entro cui confluirono a partire dalla metà degli anni Cinquanta numerosi veterani provenienti dalla fallimentare guerra d’Indocina. Fu sciolta dal governo Pflimlin nel 1958 dopo un attentato dinamitardo contro l’Assemblea Nazionale. Sempre con questo simbolo si costituirono in seguito il Parti nationaliste (sempre nel 1958), con i reduci di Jeune Nation, e nell’estate del 1960 il Front de l’Algerie francaise (Faf), che raccolse diverse migliaia di coloni in Algeria, e il Front national pour l’Algerie francaise (Fnaf), sotto la guida di Jean-Marie Le Pen e del colonnello Thomazo (detto “naso di cuoio”). Il Parti nationaliste ebbe vita brevissima. Si dedicò principalmente a una attività clandestina e terroristica, prima di vedere confluire
gran parte dei propri aderenti nei ranghi dell’Oas. L’Oas (Organisation de l’armée secrète) fu costituita a Madrid nel gennaio del 1961 dai fautori del mantenimento della presenza coloniale
francese in Algeria, tra loro Jean-Jacques Susini e Pierre Lagaillarde. Rappresentò senza ombra di dubbio la più importante formazione terroristica che la Francia abbia mai conosciuto. Animata dai settori oltranzisti dell’esercito francese, contrari alla decolonizzazione, e dall’estrema destra, si rese responsabile il 21 aprile del 1961 del cosiddetto “putsch d’Algeri”, sotto la guida dei generali Salan, Challe, Jouhaud e Zeller, tentando la presa militare della città. L’emblema anche in questo caso era rappresentato dalla croce celtica, tracciata sui muri e innalzata sulle barricate. Lo slogan: “L’Algerie francaise”. L’Oas perpetrò numerosissimi attentati sia in Francia che in Algeria. Secondo alcune stime, tra il maggio 1961 e il settembre 1962, furono almeno 2.700 le persone uccise dall’Oas, di cui circa 2.400 algerini.
Tentò anche di assassinare il 22 agosto del 1962 a Parigi il presidente della repubblica francese, il generale Charles De Gaulle. Da una sua costola nacque, qualche anno dopo, l’Aginter Press, una finta agenzia di stampa, con sede a Lisbona, dietro la quale in realtà furono attivi in chiave anticomunista e contro le lotte di liberazione nazionale degli anni Sessanta e Settanta, soprattutto in Africa, neofascisti, mercenari e agenti dei servizi segreti portoghesi e statunitensi. Uno degli snodi operativi a livello internazionale di quella “strategia della tensione” che, attraverso stragi e attentati, interessò pesantemente l’Italia. A sostenere l’Oas in Europa, come attivo supporto politico e logistico, fu Jeune Europe, fondata nel dicembre 1960 dal belga Jean
Thiriart, ex combattente nelle Waffen-Ss. Una vera e propria organizzazione transnazionale, costituitasi anch’essa sotto il segno della croce celtica, finanziata generosamente dai monopoli agricoli e minerari francesi, belgi e olandesi, allarmati dai processi di decolonizzazione in Congo e più in generale in Africa. Aprì diverse sedi nei principali paesi europei. In Italia vi aderì Ordine nuovo. Fu dunque Jeune Europe a esportare la croce celtica in Italia, che divenne negli anni Settanta il simbolo delle organizzazioni giovanili dell’Msi, del Fronte della gioventù e del Fuan, la struttura universitaria, che nel 1975 realizzò le prime bandiere gialle con la
croce celtica nera. "

Del resto la"celtica" che agghinda le magliette di taluni o compare sui manifesti di talaltri abbiamo purtoppo potuto vederla in questi giorni diverse volte in TV sullo sfondo di una foto che ritrae uno dei tristi protagonisti delle recenti violenze all’Olimpico: il De Santis.
L’articolo su La Prealpina, a firma Marco Linari, apre con un accorato "Per qualche giorno è stato in silenzio, facendo violenza a se stesso. Ma ieri Francesco Lattuada, consigliere comunale del Pdl, è esploso". Con questa apertura d’articolo noi concludiamo, lasciando a chi ci legge le proprie riflessioni sullo stato in cui versa il nostro Paese e in cui vive il nostro Paesone (il Sig Sindaco, così solerte a presenziare alle commemorazioni, sostenuto da una maggioranza che comprende queste posizioni, che ne dice? Un consigliere della sua maggioranza, eletto con le vigenti leggi del nostro Paese risorto con la lotta dalla guerra e dal fascismo, esterna quei contenuti, che pensa? E soprattutto cosa pensa di fare?…..Questo o quello per me pari sono? …’libertà è partecipazione’ cantava Gaber. Prendere una parte per uscir dall’Antiferno in cui è stata gettata questa democrazia prima che ci si trovi oltre) e citando a proposito che "un bel tacer non fu mai scritto".

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Pubblicato il 16 Maggio 2014
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