Pedotti (PD): “Dichiarazioni dure e faziose, contro l’unità e la pluralità nel partito”
Così commenta le dichiarazioni di Brugnone Paolo Pedotti, ex segretario GD e attualmente membro di Segreteria e Direzione del PD di Busto Arsizio
L’ex-segretario dei Giovani Democratici di Busto Arsizio, Paolo Pedotti, risponde all’attuale segretario dopo le critiche espresse nei confronti della senatrice bustocca Erica D’Adda e gli altri 13 senatori dissidenti che si erano autosospesi dal gruppo per poi rientrarvi dopo qualche giorno: «Apprendo dalla stampa che l’attuale segretario dei GD del Bustese, nominato tale da una commissione congressuale lo scorso gennaio, abbia accusato di falsità 14 senatori del Partito Democratico che hanno dichiarato a viso aperto, senza nascondersi dietro nessun voto segreto, il loro dissenso rispetto a una legge – il superamento del bicameralismo perfetto – che tocca la nostra Costituzione e rappresenta pertanto un intervento delicato, da ponderare con le dovute riflessioni. La Costituzione non è una cosa che si cambia tutti i giorni, è giusto che la faccia con tutti, ma ciò richiede tempo e confronto su posizioni differenti».
Pedotti entra nel merito della questione: «A differenza di quanto afferma Brugnone, nessun cittadino può sapere se votando per un Presidente, per un Consigliere regionale o per un Sindaco stia effettivamente votando anche per un Senatore, poiché la scelta di questi sarebbe solo successiva ed effettuata tra gli eletti. Quindi con l’attuale impostazione della legge al cittadino non sarebbe data possibilità di scegliere il proprio rappresentante presso il Senato o “Camera delle autonomie”, poiché la scelta di chi “mandare a Roma” sarebbe fatta da altri (dai partiti politici in primis, ma anche da varie lobbies)».
Ma la gravità nell’intervento del Segretario GD – secondo Pedotti «è rappresentata dalla tempistica con cui tale accusa di falsità arriva, poichè il gruppo di Senatori dissidenti ha già esplicitato una posizione di convergenza e di rientro nei confronti del Partito in nome dell’unità e di opportune garanzie di pluralismo interno. Altrettanto grave è il tentativo mal riuscito di farsi scudo con il programma di Renzi delle primarie, che, a differenza dell’attuale trasformazione del Senato in una camera non elettiva, prevedeva la totale abolizione del Senato: tra abolire e trasformare c’è una bella differenza, ma è lecito e giusto cambiare idea qualche volta (o averne di differenti), basta che lo si ammetta apertamente e ci si voglia confrontare».
Infine si appella all’unità del partito e chiede di non trasformare il voto delle Europee in un plebiscito per Renzi: «Spiace vedere che al posto di discutere nel merito delle questioni per provare a cambiare il paese in meglio si preferiscano sterili accuse di falsità e si rivendichi un voto “di parte”; già, perchè gli 11 milioni di voti che abbiamo preso come PD non sono “di Renzi”, ma sono di quelle persone che sperano in un’Italia migliore, indipendentemente da ciò che hanno votato alle primarie del 2013, a quelle del 2012, del 2009 e così via. Cambiare l’Italia tocca a noi: vediamo di farlo bene».
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