Né stipendio né cassa integrazione per i dipendenti di Bianchi
Oltre 80 lavoratori dello storico cash and carry di Gazzada Schianno hanno protestato sotto la sede provinciale dell'Inps: è da settembre 2013 che non vedono un euro nonostante abbiano ottenuto la cassa integrazione straordinaria dal ministero
Dopo centodieci anni di storia ed essere stato uno dei primi cash and carry d’Italia, il Bianchi di Gazzada-Schianno ha chiuso i battenti con il conseguente licenziamento di 85 lavoratori. Una storia purtroppo comune a molte imprese in un periodo di crisi come questo, ma per i lavoratori del Bianchi, in presidio nella giornata di oggi (martedì 23 settembre) sotto la sede provinciale dell’Inps, oltre al lavoro perso c’è un altro problema contingente da affrontare: dal settembre 2013, cioè da un anno, non ricevono un euro, nonostante il ministero gli abbia concesso la cassa integrazione straordinaria per fine attività.
Una situazione pesante per 80 famiglie, considerato il fatto che solo cinque lavoratori del gruppo originario hanno trovato una nuova occupazione.
I sindacati di categoria Filcams Cgil, Fisascat Cisl e UilTucs si dicono consapevoli del fatto che in questo periodo la richiesta di ammortizzatori sociali è cresciuta esponenzialmente in provincia, ma allo stesso tempo sanno che ci si trova di fronte al dramma di chi è senza reddito da troppo tempo per poter attendere ancora . «A gennaio – spiega Rodolfo Cenci, delegato della Filcams – abbiamo chiesto la cassa in deroga, ma non è arrivato nulla. E dal 24 aprile siamo in cassa per fine attività. Sappiamo anche che l’Inps provinciale ha avviato tutte le pratiche per lo sblocco dell’erogazione dell’ammortizzatore sociale, ma finora senza esito favorevole».
In provincia sono circa 4mila le aziende che usufruiscono della cassa integrazione e la tendenza dell’ultimo trimestre è in aumento, tanto che il sindacato ha parlato di «ripresa congelata». Come conferma Angela Marra, neosegretario della Filcams: «Sono tante le situazioni simili a questa – spiega la sindacalista -. Ma quando il ritardo è così pesante le famiglie entrano in sofferenza e si aspettano giustamente risposte concrete anche perché la parte di ricollocazione non funziona, le risorse stanziate non creano occupazione e quindi non si vedono prospettive».
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