“Serve un contratto sociale per l’uguaglianza”

Intervento del sindaco e del presidente del consiglio comunale a tre settimane dai tragici fatti di Parigi

Oltre tre settimane ci separano ormai dalle orrendi stragi perpetrate a Parigi da terroristi sedicenti islamici.
Dopo i giorni di #iosonoCharlie, della solidarietà e del lutto che tutti abbiamo convintamente condiviso condannando la mai giustificabile uccisione di esseri umani, (tantomeno in nome di qualsiasi religione!) il circuito dei media sembra aver dimenticato la lunga scia di sangue che ha bagnato la redazione di Charlie Hebdo, il supermercato Kosher e messo in allarme rosso i servizi di sicurezza di mezzo mondo non meno rapidamente di quanto dimentichi le quotidiani stragi in Nigeria, Siria e Medio Oriente.
 
Eppure l’esplosione di tanta criminale violenza contro i redattori di un giornale satirico, accusati di aver pubblicato frasi e vignette ingiuriose contro la sensibilità religiosa dei musulmani, lascia aperte questioni dirimenti per il futuro dell’Europa, della nostra civile convivenza e della democrazia in generale. Questioni che, se non affrontate e risolte, rischiano di causare altro dolore, altri lutti. Tra queste si è imposta all’attenzione dell’opinione pubblica quella del rapporto tra diritto alla satira e rispetto delle religioni. Che poi, a ben guardare, altro non è che la riproposizione, applicata alla satira, del rapporto tra la libertà di compiere un’azione e il limite posto dalla necessità che questa non leda la libertà di altri. Papa Francesco, con la metafora del pugno che ha fatto il giro del mondo per la sua immediatezza e comprensibilità, ha detto: “se un amico dice una parolaccia contro la mia mamma, lo aspetta un pugno”. Evocando con questo non la giustificazione di una reazione violenta, ma il rispetto di ciò che di più sacro ciascuno custodisce nel suo cuore. Altri hanno sostenuto che una società laica non può riconoscere limiti alla satira, cioè che questa costituirebbe una attività affrancata da ogni limite. Sono temi complessi, difficili da tagliare con l’accetta, ma che, proprio per questo, meritano alcune considerazioni.
 
Il diritto alla libertà di pensiero e di espressione, sancito dalla Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo, non implica il diritto all’offesa di ciò che un altro considera sacro e inviolabile per sè, perché ciò lederebbe un suo diritto inalienabile: quello di essere rispettato nella sua dignità di persona umana. Né vale il richiamo alla tolleranza, se la si invoca per giustificare l’altrui intolleranza. Non dimentichiamo, ad esempio, la legge contro l’omofobia all’attenzione del Parlamento che, se ben congegnata, dovrebbe vietare espressioni ritenute discriminatorie verso l’identità sessuale altrui pur garantendo la libertà di espressione. E che, nella maggior parte dei Paesi, esistono leggi giustamente severe contro le espressioni razziste. Perché quindi il credo religioso deve essere considerato meno degno di tutela dell’appartenenza etnica o di genere di fronte alla satira?
 
Certo affidare i limiti della convivenza sociale al solo dettato legislativo delegandogli l’esatta fissazione del “fino a che punto” può essere esercizio arduo se non vacuo. Serve un accordo di fondo condiviso, una sorta di “contratto sociale”, come ha recentemente osservato il nostro concittadino prof. Fulvio De Giorgi, che si fondi su uguaglianza, libertà e fraternità. Tre virtù civili che negano il diritto di uccidere altri (uguaglianza), di impedire ad altri di esprimere le proprie idee (libertà), e richiedono il rispetto dei sentimenti altrui quando avvertiti come essenza della propria personalità (fraternità).

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Pubblicato il 29 Gennaio 2015
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