Tremila in marcia per la pace

Il cortile del Broletto non basta a contenere le persone arrivate per manifestare dopo i fatti di Parigi. Usman, rappresentante della comunità senegalese scelto per parlare a nome della comunità musulmana : "Islam significa pace. La nostra è una religione di pace"

Il cortile del Broletto non basta a contenere le oltre tremila persone arrivate per la marcia interreligiosa per la pace. Tre cortei si sono incontrati in piazza Libertà per poi sfilare insieme fino al Broletto: un appuntamento promosso da Caritas, Decanato e Acli, ma che ha assunto un più forte significato dopo i fatti di Parigi. Una marcia silenziosa, che da tre diverse zone ha attraversato la città fino a trovare unità nel centro, nel grande cortile del Comune che rappresenta lo spazio della convivenza tra culture e tradizioni diverse.

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«Noi siamo qui in tanti per mantenere il dialogo, il confronto con il mondo musulmano perché isoli la violenza e perché le comunità possano convivere» – dice Monsignor Ivano Valagussa (nella foto sotto, il suo intervento ). «Dobbiamo vivere fino in fondo i nostri valori e non solo proclamarli. Dobbiamo batterci contro l’odio e la violenza. Il cammino della pace richiede un impegno culturale, economico e politico e non solo norme restrittive: la pace non può ridursi a doverosi provvedimenti per la sicurezza dell’Europa» continua Valagussa, ricordando le stragi avvenute in questi giorni anche in Pakistan e Nigeria. «La pace ha bisogno di noi, di tutti noi perché vinca la vita e non la morte». Nel corteo della comunità cristiana hanno camminato anche diversi cittadini stranieri di confessioni cristiane.

Il sindaco di Gallarate Edoardo Guenzani parla a nome di tutti i primi cittadini della zona del Gallaratese (ma alcuni sono venuti anche da più lontano). «Questo cortile non è mai stato così pieno come questa sera. Abbiamo l’adesione anche della Provincia. Sono coinvolte tante comunità sia religiose che laiche. Oggi portiamo un contributo ad un processo di pace e condanniamo quanto successo a Parigi per colpa di terroristi sprezzanti di ogni valore». «Siamo partiti con cortei diversi arrivando qui uniti. Lavoriamo insieme per condividere i valori che sconfiggano l’intolleranza per una società che viva la vera pace». 

Ousman, rappresentante della comunità senegalese scelto per parlare a nome della comunità musulmana, spiega invece: «Islam significa pace. La nostra è una religione di pace. Il fondamentalismo va sconfitto per migliorare la condizione umana. La comunità islamica è unita alla comunità cristiana e alle realtà civili per contrastare la violenza e l’intolleranza». Ousman ha ricordato la necessità di rispettare la libertà di culto (con un riferimento all’esigenza di un luogo di culto islamico) ma ha lanciato anche un messaggio molto chiaro per l’integrazione: «Vogliamo insieme rispetto e fiducia per questo nostro paese. Noi musulmani dobbiamo dare l’esempio per primi rispettando le leggi e impegnandoci per le nostre città». La comunità musulmana è intervenuta in tutte le sue componenti nazionali, dai senegalesi ai pakistani, dagli albanesi ai cittadini del Bangladesh.

La marcia ha visto tre diversi gruppi (comunità cristiana, musulmana e associazioni laiche) muoversi in contemporanea da tre zone di periferia diverse: cortei silenziosi, ricordando le vittime del terrorismo, senza bandiere e slogan, se non gli striscioni che aprivano i tre cortei. E Don Virginio Colmegna, della Casa della Carità di Milano, ha aggiunto, a conclusione della marcia: «Il tema della pace deve attraversare le nostre coscienze e radicarsi dentro di noi. Dobbiamo respingere il linguaggio aggressivo che separa le persone. Il volto dell’altro deve respirare fratellanza e pace. Non si può migliorare il mondo se prima non guardiamo dentro di noi. Guai a noi se vince la paura. Dobbiamo farci i conti, ma questa si sconfigge se ci guardiamo in faccia. Abbiamo bisogno di linguaggi miti e non aggressivi. Noi, come diceva Gandhi scriveremo un’altra storia. Abbiamo camminato in silenzio lungo tre percorsi per arrivare qui insieme. Stasera la nostra piazza ci chiede di custodire il dialogo. Dobbiamo tirar fuori la poesia perché ci faccia guardare al futuro con fiducia. Di fronte al massimo della violenza dobbiamo narrare la forza della mitezza. Imprigioneremo l’odio con la mitezza». 


L’arrivo in piazza:

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Pubblicato il 10 Gennaio 2015
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