“Ospitalità e occasioni per gli sponsor: il basket tedesco ci ha superato così”

Gianmaria Vacirca, ex consulente marketing di Pallacanestro Varese, ci descrive il suo viaggio di aggiornamento a Bamberg. «Soffro per la Openjobmetis; i continui cambiamenti non aiutano»

Gianmaria Vacirca è personaggio che spicca nel pianeta, spesso grigio, della pallacanestro italiana. Lombardo di origine, ha accumulato esperienze un po’ in tutti i campi legati al basket, ricoprendo tra gli altri il ruolo di general manager a Montegranaro per alcune stagioni. A Varese ha trascorso due anni come consulente dell’area marketing (2012-14), poi si è dedicato principalmente al settore calzaturiero ma non ha certamente tolto i propri radar dal mondo del parquet (tra l’altro cura tuttora il blog "Basketkitchen" dedicato a cibo e palla a spicchi). Proprio per questo motivo ha appena effettuato un viaggio di aggiornamento in Germania, al Brose Baskets di Bamberg, una delle società di riferimento del movimento tedesco. Non una meta qualunque, perché la Bundesliga è uno dei campionati in continua crescita nel panorama europeo: ecco le impressioni di Gianmaria raccolte per VareseNews al suo ritorno in Italia.

(Gianmaria Vacirca con la scarpa vintage dedicata alla MobilGirgi Varese)

Vacirca, come si è svolto il suo tour di aggiornamento a contatto con il basket tedesco?
«Sono andato a trovare Daniele Baiesi (QUI una nostra intervista recente) al suo rientro in un club dopo la lunga esperienza di scout internazionale ai Detroit Pistons. Per me è un amico speciale e dirige un’area tecnica con Trinchieri coach, Perego tra gli assistenti e Bencardino preparatore atletico. La squadra è piena di giocatori che hanno fatto bene in Italia tra cui Dawan Robinson appena arrivato da Varese. Mi sono confrontato per quattro giorni con la loro organizzazione su aspetti di marketing, comunicazione e strategie. Occorre sempre tenersi aggiornati e avere visione europea. Hanno una grande struttura, sono rimasto impressionato».

Qual è stata la cosa o il momento che più l’ha colpita durante le giornate trascorse a stretto contatto con il basket di Bamberg? 
«La gestione del gameday, il giorno in cui si gioca la partita in casa: una cosa che ho sempre cercato di trasmettere qui in Italia con risultati altalenanti. Il gameday è l’essenza, il cerchio che si chiude: il gameday è più importante fuori che dentro il campo. È il giorno della conquista di quei fatturati che ti possono aiutare nella gestione del club».

(Un’immagine della hospitality del Brose Baskets / da Basketkitchen)


E quale invece la mossa più facilmente e velocemente replicabile nei nostri palazzetti?
«A Bamberg ci sono due aree hospitality: una da 600 posti, una più riservata da 150. Un momento "business-to-business" fondamentale cui hanno accesso tutti gli sponsors: un brunch buffet senza “esclusione di colpi” che inizia un’ora prima e finisce un’ora dopo la gara. Nel mio piccolo avevo fatto una cosa simile anni fa a Porto San Giorgio: un’area aperta a sponsors, istituzioni e col "terzo tempo" per gli avversari a fine partita. Mi piacerebbe un palasport che si fonde con il genio di un Eataly di Farinetti, con la partita alle 19 e un servizio continuo di mangiare di strada fatto bene: pizza, piadine, hamburgers, panini gourmet, grandi vini e grandi birre (a Bamberg ce ne sono di fantastiche ndr). Ma l’unica cosa che mi ha lasciato il basket sono i sogni tipici di uno strambo visionario».

Investimenti: la Germania era decisamente dietro all’Italia nel campionato di basket. Quali sono stati i passi fatti nel corso degli anni?
«I passi in avanti sono quelli di cui sopra: il livello del gioco è sempre lo stesso o forse è peggiorato per via della regola protezionistica dei sei tedeschi, che ha aumentato i costi e regalato contratti irreali a giocatori mediocri. Bayern, Bamberg e Alba fanno eccezione. È migliorato tutto ciò che c’è fuori dal campo: l’attrattiva per gli sponsors, la TV e la WebTV (i tifosi di Varese hanno potuto constatare l’alto livello di questo servizio in occasione della partita di Eurocup contro Ulm, lo scorso anno ndr) hanno cambiato marcia al prodotto».

(Dawan Robinson è passato dalla Openjobmetis a Bamberg poche settimane fa)


Lei ha vissuto per due anni la realtà di Varese come consulente marketing. Da ex general manager e da appassionato, come può la Openjobmetis uscire da questa difficile situazione in cui si trova in campionato?
«Onestamente la vedo molto complicata e la cosa mi fa soffrire. Cambiare di continuo non aiuta, anzi, peggiora lo stato delle cose: anche quando sono "obbligati" i cambi tra americani sono spesso deleteri, creano confusione; le porte girevoli il più delle volte sono porte in faccia e in un’altra vita ne ho prese tante. Ho visto Robinson brillante in Germania: sarebbe stato ancora utile alla causa ed era una persona di grande spessore, uno che dava l’idea di tenerci davvero. Con tutto il rispetto per un campione come Maynor, ci mancherebbe altro. Capisco la sofferenza di Gianmarco per non riuscire a invertire la rotta, ma in panchina e dopo le gare lo vedo sempre più affranto e incazzato, sembra più Joker che Batman: col mio disincanto sorrido perchè mi ricorda le incazzature durante le partite a Fifa 2014 con il sottoscritto nel ruolo di arbitro clown, una parte di me si rattrista perchè lo vedo come uno di quei mariti che cercano di salvare a tutti i costi il matrimonio per tenere unita la famiglia. Ma serve una visione collettiva: Poz lo si aiuta a crescere se lo si valuta per l’allenatore che è, non per il campione che era, altrimenti si finisce col restare tutti dentro nel costume di Birdman, con una visione superficiale e alla disperata ricerca del successo che non arriva. Ma i giocatori non sono figli, il dolore della sconfitta è un labirinto utile per tutti e soprattutto ball don’t lie, come direbbe Rasheed Wallace.».

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Pubblicato il 11 Febbraio 2015
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