Alafaci: “Al Giro da uomo-squadra, voglio aiutare a vincere”
Il 24enne di Carnago è alla seconda partecipazione: «Dirigerò lo sprint del Team Trek: l'obiettivo è far trionfare il mio amico Nizzolo»
È nato velocista, è stato “ultimo uomo” per gli sprinter, si è trasformato in “regista delle volate”. Eugenio Alafaci è ancora giovanissimo – ha meno di 25 anni – ma ha saputo già calarsi al meglio nel mondo del ciclismo professionistico al quale è approdato nel 2012. Pedalare con i migliori è sia uno sport, sia un mestiere da svolgere al meglio il che, per il corridore di Carnago, significa fare in modo che la propria squadra vinca le corse. Magari anche al Giro d’Italia 2015 per cui Alafaci è stato convocato per la seconda volta in carriera.
L’anno scorso fu l’esordio al Giro: cosa ha imparato da quella esperienza, che le tornerà utile questa volta?
«L’importanza di risparmiare energia e riposare il più possibile al di fuori delle ore di corsa. Guadagnare mezz’ora/un’ora di sonno o almeno di letto fa benissimo; te lo dicono tutti ma te ne accorgi solo quando sei direttamente coinvolto. Il riposo può fare la differenza».
Lei è al via con la maglia della Trek; quale sarà il suo ruolo in corsa?
«La nostra squadra punta molto sulle volate di Giacomo Nizzolo ed è impostata su di lui. Il mio compito principale è quello di guidare il “treno” per lo sprint: dovrei essere il terz’ultimo a entrare in azione e quindi sarò l’uomo che sceglie le traiettorie e il tempo per lanciare la volata. Un compito importante per aiutare Nizzolo a vincere; con Giacomo formo una coppia ormai rodata, abbiamo un rapporto di amicizia anche al di fuori del ciclismo. Aiutarlo a vincere è una soddisfazione doppia».
Oltre a ciò, avrà qualche possibilità di cercare il risultato personale?
«La squadra mi dà tranquillità e mi lascerà provare la fuga in quelle tappe in cui Giacomo non potrà provare a vincere. Quindi potrò anche cercare l’azione da lontano, magari confidando sul fatto che allo sprint posso dire la mia».
Poi ci saranno anche le frazioni in cui difendersi, come quelle di alta montagna.
«Sì, quelle le affronto con… spirito di sopravvivenza: qualcuno pensa che i corridori arrivati a 20′ dai primi se la prendano comoda, e invece la fatica è la medesima degli scalatori, solo che loro possono viaggiare su ritmi ben più alti. Rispetto al passato io sono un po’ dimagrito e ho accumulato maggiore esperienza, quindi dovrei riuscire a non finire negli ultimi gruppi, quelli che rischiano il “fuori tempo massimo”. L’importante è capire qual è il proprio ritmo, fare gruppetto con qualche altro e arrivare alla fine».
Lei ha vinto una corsa da professionista (in Olanda, nel 2012) e ora è principalmente un uomo-squadra. Dica la verità: non le manca il tagliare il traguardo a braccia alzate?
«Quella è un’emozione bellissima che quando non arriva da un po’ di tempo, in effetti, manca. Però il mio è un lavoro, e il ciclismo è uno sport di squadra: sono a disposizione di corridori potenzialmente vincenti e sono chiamato a lavorare per questo».
Infine, un nome secco: chi vince il Giro?
«Dico Richie Porte. E spero che la Trek vinca qualche tappa con Nizzolo e Felline, con Giacomo che può lottare per la classifica a punti».
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