Uomini proibiti, una regista varesina racconta la sofferenza del celibato

L'opera prima di Angelita Fiore. Nel suo docufilm racconta le storie di tre preti che hanno scelto l'amore. Ha chiesto udienza al Papa ed aperto un crowdfunding per raccogliere fondi

Uomini proibiti

Un docufilm per la libertà di amare, anche se si indossa l’abito talare. Lo ha realizzato Angelita Fiore (nella foto), 34 anni, varesina trapiantata in Emilia Romagna: ha raccolto in cinque anni di lavoro le storie di tre preti e delle rispettive compagne che hanno scelto l’amore e sono stati costretti ad abbandonare l’abito. Ne ha tratto un lavoro che vedrà la luce il prossimo giugno, al Bologna Biografilm Festival. Un tema forte, non facile, che la giovane regista ha affrontato con caparbietà e fermezza. E che spera di portare a Papa Francesco per sensibilizzare anche il Santo Padre. Ecco come ci ha raccontato sè stessa e il suo primo film.

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È anche aperto un crowdfunding per raccogliere il denaro necessario (5 mila euro) a terminare il film: http://it.ulule.com/uomini-proibiti/, chiunque potrà contribuire con piccoli sostegni, ricevendo in cambio particolari “ricompense”.

Angelita, come nasce la tua passione per il cinema e quali sono stati i tuoi primi lavori?
«È una passione che ho da sempre, dai tempi del liceo, quando ho cominciato a girare i primi documentari, avevo 17 anni ed ero al Liceo Classico Varese, li giravo e li montavo io in analogico. Poi ho frequentato l’Università Dams a Bologna e ho fatto il dottorato con indirizzo cinema e teatro. Negli anni ho girato alcuni cortometraggi autoprodotti: uno sul G8 di Genova, “Not 1 reason”, ha vinto il premio del pubblico nella sezione Professione Reporter al Cuveglio Film Festival 2006 ed è stato proiettato in vari festival e trasmesso su ArcoirisTv (Sky) nel 2008. Uomini Proibiti (Forbidden men) è il mio primo lungometraggio».

In Uomini Proibiti parli del celibato, della sofferenza nei rapporti tra preti e donne “segrete”, delle difficoltà che nascono in relazioni nascoste e osteggiate. Come ti è venuta questa idea?
«Ci lavoro dal 2006. Pensavo all’amore, al suo significato e a quello che può voler dire non viverne tutti gli aspetti umani, a cominciare dalla sessualità fino al dover tenere nascosti i sentimenti, conseguenze queste del celibato imposto a preti e suore. Ho tenuto l’idea nel cassetto, ma spesso è tornata a galla e ho deciso che lo dovevo fare. Ho conosciuto donne che hanno avuto relazioni con preti nascondendosi, tenendo tutto segreto. Ho scelto tre storie per il film, per raccontare il celibato da diversi punti di vista.  Il film, prodotto da Maxman Coop e Roberta Barboni, ha ottenuto finanziamenti di Emilia-Romagna Film Commission e il sostegno della Cineteca di Bologna e del Centro per lo sviluppo dell’audiovisivo e l’innovazione digitale in Emilia-Romagna».

Avete anche chiesto udienza a Papa Francesco…
«Sì, per ora non abbiamo ottenuto risposte. Ma ci contiamo e anche se non dovesse riceverci, gli faremo avere un cofanetto con il film e con tutti i messaggi che tante persone gli vogliono lasciare, chiedendogli di eliminare il celibato coatto. Lui è il primo Papa che ha fatto aperture in questo senso, vorremmo potergli parlare e fargli capire quanta sofferenza c’è a causa di quello che non è un dogma, come lui stesso ha detto. Sono convinta che il cinema non può cambiare le cose, ma può far riflettere».

UOMINI PROIBITI – crowdfunding http://it.ulule.com/uomini-proibiti/ from Forbidden Men – Film on Vimeo.

Nel tuo docufilm racconti tre storie di uomini e donne che hanno vissuto sulla prpria pelle le conseguenze del celibato. Storie diverse, dolorose, difficili. Quante sono le persone al mondo che hanno vissuto esprienze simili?
«Sono più di 120.000 i preti che abbandonano il sacerdozio per farsi una famiglia o che hanno una donna segreta. In Italia sono 7-8 mila. Ovunque sono nate associazioni a tutela di queste persone, molte delle quali hanno sostenuto e sostengono il mio film. E poi ci sono i figli dei preti: nel mio film (come si vede nel trailer) c’è la testimonianza di Lucy, che fuori da ogni pregiudizio e con tutta la spontaneità e genuinità che contraddistinguono il suo  sguardo da bambina, dà un grande insegnamento a tutti: per lei è normale che suo padre fosse un prete, non ci vede nulla di male, anzi…».

Hai trovato solo porte aperte o hai avuto anche difficoltà nel raccogliere testimonianze e storie?
«Non è stato facile. Molti non hanno voluto raccontarsi davanti alla telecamera. Li capisco, in Italia soprattutto sono temi difficili da affrontare. Non è facile per i preti che rischiano di essere cacciati dalla Chiesa, non è facile per le loro donne che rischiano di mettere in difficoltà i loro compagni. Per questo ringrazio Anna, Fausto, Luiza, Fidelia, Federico e gli altri protagonisti del mio film che si sono spesi in prima persona e hanno voluto essere da esempio per altri».

Tu sei cattolica?
«Ho una formazione cattolica, ma non pratico da tempo. Faccio film, non religione, questo deve essere chiaro. Ho la mia idea, che è abbastanza chiara penso: sono contro il celibato obbligatorio. Ma ho fatto il film senza bandiere ideologiche».

Tommaso Guidotti
tommaso.guidotti@varesenews.it

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Pubblicato il 18 Maggio 2015
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