I periti: “Impossibile sapere l’origine delle ferite sul corpo di Uva”
I membri del collegio che ha analizzato le cause della morte di Uva è stato sentito nell'ambito del processo ai poliziotti e carabinieri: "Uva era malato di cuore e morì nel sonno per un mix di eventi "
E’ impossibile stabilire se le ferite riscontrate sul cadavere di Giuseppe Uva fossero state provocate da terzi o da lui stesso. Lo escludono categoricamente i tre periti chiamati questa mattina a rispondere nell’ambito del processo per omicidio preterintenzionale, arresto illegale e altri reati nei confronti dei 6 poliziotti e dei 2 carabinieri che ebbero a che fare con l’uomo, poi spirato nella mattinata del 18 giugno 2008 mentre era ricoverato in psichiatria all’ospedale di Varese.
Il collegio peritale formato da Luigi Angelo De Mori, Davide Ferrara e Gaetano Tiene venne chiamato a rispondere al quesito al centro del precedente processo, quello ai medici dell’ospedale di Varese (tutti assolti), per stabilire se vi fosse la sussistenza di errori e/o inosservanze nella condotta dei sanitari che assistettero Uva e valutarle come causa o concausa della morte. In questa udienza lo stesso collegio si è sottoposto alle domande della Procura, rappresentata dal procuratore capo Daniela Borgonovo, e della parte civile con gli avvocati Fabio Ambrosetti e Alberto Zanzi.
Nel corso delle complesse e lunghe operazioni peritali i tre esperti riuscirono a risalire alla spiegazione della morte improvvisa di Uva. I periti esaminarono il suo cuore, conservato dal consulente della Procura, e scoprirono che a provocare il decesso fu il prolasso della valvola mitrale. Risalendo la catena degli eventi i periti scoprirono, inoltre che il soggetto soffriva di una fibrosi che «ha abbassato la soglia di instabilità elettrica da adrenalina del suo apparato cardiaco».
Per i periti, dunque, la morte sopraggiunse a causa di una serie di eventi che “mixati” tra loro hanno scatenato l’aritmia e il prolasso della valvola. Lo stato di agitazione dovuto all’elevata assunzione di alcol, la contenzione, le lesioni traumatiche (tutte giudicate di lieve entità) che i periti hanno sempre definito auto o etero prodotte, hanno contribuito a creare lo stress sufficiente ad irrorare il cuore di adrenalina attraverso le terminazini nervose. Secondo i tre professori, i tre fattori scatenanti, presi singolarmente, non possono causare l’aritmia mentre la combinazione tra loro è sufficiente a generare uno scompenso abbastanza forte in una persona afflitta da fibroma.
Come hanno ribadito più volte i componenti del collegio non hanno acquisito elementi precedenti al ricovero e, quindi, non si sono espressi di fronte alle domande della parte civile che puntavano a far rientrare quanto avvenuto tra l’ammanettamento e l’arrivo della guardia medica in caserma, tra le cause dell’agitazione psicomotoria di Uva.
Perchè Uva non morì nel momento più acuto dello stress? La risposta dei periti quasi sorprende: «Il rischio aritmico non è nella fase acuta ma nella fase di recupero. Giuseppe Uva, mentre dormiva, è passato dal sonno alla morte».
L’udienza è stata conclusa anzitempo dal presidente della corte d’Assise Vito Piglionica per l’indisponibilità a proseguire di un membro del collegio peritale che dovrà ripresentarsi, quindi, l’11 settembre per concludere con l’esame della difesa degli imputati. La prossima udienza del processo si svolgerà il 17 luglio.
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Insomma, udienza dopo udienza la tesi del massacro perde consistenza (semmai ne avesse mai avuta) così come la teoria del trigger.
La cosa che forse non è chiara a chi a seguito la vicenda guardando lquella manciata di filmati accroccati da Le iene ovvero montate ad arte dal sen. Manconi, è che Uva venne inseguito dalla madonnina in prato sino a piazza XXIV. Biggioggero è rimasto sul posto e non ha opposto alcuna resistenza all’identificazione. Nel web si trova la sentenza Ferrulli, sono 212 pp..