Visconti: “Ragazzi, non sottovalutate la qualità dell’università italiana”

Il futuro rettore della Liuc commenta la scelta di molti giovani di andare a studiare all'estero, un fenomeno in crescita dettato da esigenze ma anche dalla moda

federico visconti

Pratico, diretto, poco attento alla formalità ma preciso sul contenuto. Abituato ad affrontare questioni aziendali reali e concrete, Federico Visconti colpisce subito per i suoi modi concreti. Evita qualsiasi elucubrazione teorica e riporta sempre il discorso sul piano concreto di chi ha ben idea di avere una missione: contribuire a far crescere i manager di domani.

Sarà lui, il prossimo 1 novembre, a succedere a Valter Lazzari alla guida dell’Università Liuc di Castellanza. Approdato nel 2011 all’ateneo fondato dagli industriali della provincia di Varese, chiede tempo per approfondire tutte le peculiarità di un ambiente che, indubbiamente, ha poco dell’enfasi cattedratica tradizionale

Quali sono i suoi programmi?
Diciamo che sono ancora in una fase esplorativa. Ho bisogno di conoscere meglio. La prima impressione, però, è di essere in un ambiente molto vivo. I professori generalmente sono personaggi un po’ strani, attenti alle formalità. Qui, invece, ho trovato un bel clima collaborativo e costruttivo.  Un dettaglio non da poco: in un sistema che spesso è ingessato dalla burocrazia , la Liuc può permettersi di agire con maggior agilità, andando incontro alle esigenze e alle richieste dei suoi “stakeholder”. Ha una capacità di innovare e di avviare percorsi sperimentali con tempi decisamente più adeguati ai cambiamenti del mondo esterno. E poi, pur non arrivando a situazioni estreme, ha avviato proficuamente l’internazionalizzazione

Ecco, questa parola, internazionalizzazione, mi incuriosisce molto. Oggi gli studenti, sin dal percorso scolastico, cercano una certificazione che permetta loro di andare a studiare all’estero. Che idea si è fatto di questa globalizzazione della formazione accademica?
Direi che è un po’ lo scotto di una crisi che ha penalizzato la nostra economia. I giovani non vedono futuro per cui decidono di tentare la strada estera e questa scelta arriva sempre prima. Se, però, oltre alle suggestioni guardiamo un po’ dentro al sistema produttivo, ci accorgiamo che ci sono molte aziende, con anche due o trecento addetti, che non hanno un italiano tra i dipendenti. E questo è un secondo problema, legato alle aspettative dei nostri giovani. In questa situazione inviterei a riflettere sulla qualità dell’offerta accademica: sarebbe bene non lasciarsi trasportare dalle mode del momento. Un conto è aprirsi al mondo, confrontarsi, avere occasioni di crescita per competere a livello globale, un altro è sottovalutare un modello di formazione che è di indubbia qualità. Liuc, per esempio, offre percorsi di laurea totalmente in inglese come pure l’opportunità del doppio titolo, riconosciuto sia in Italia sia nel paese con cui l’ateneo ha avviato gemellaggi in questo senso.

Tanti gli italiani che vanno all’estero ma pochi quelli che vengono a formarsi in Italia
Il discorso è molto complesso e prevede strategie, investimenti, obiettivi mirati. C’è chi lo ha fatto ma per espressa volontà. Io mi esprimo in qualità di docente universitario di lunga data e ritengo che non sia indispensabile avere quel target. È certo che più uno si apre al mondo, più si rafforza nel mercato globale. Ma penso che un ottimo risultato sia anche quello di far crescere i giovani italiani, allenare i loro cervelli, mettendoli in condizione di raccogliere qualunque sfida. Se riusciremo a creare un manager capace di creare anche due soli posti di lavoro avremo vinto la nostra scommessa. Qui si lavora per sfide piccole ma importanti per sostenere il nostro tessuto economico. Per ora Liuc investe sull’incontro dei suoi studenti con l’estero. Magari, un domani, si potrà pensare anche ad attirare stranieri.

Ma l’università è in grado di intercettare i bisogni del futuro e costruire figure adeguate alle prossime sfide?
Nessuno, nemmeno l’imprenditore più illuminato, può immaginare cosa sarà da qui a dieci anni. Io credo che per essere pronti al domani occorra avere una base solida di conoscenze a cui aggiungere esperienze ad ampio raggio. Ed è questa la formazione che Liuc fornisce agli studenti: un triennio basato sulle competenze base, indispensabili e trasversali e poi un biennio di specializzazione in cui sono chiamati a scegliere tra diversi programmi concreti, dove possono sperimentare, mettersi in gioco, fare. Parliamo di summer school, stage in azienda, exchange, start up, collaborazioni con Harvard. E, ancora laboratori innovativi e centri di ricerca, aperti per conoscere le ultime novità tecnologiche

State attenti anche a insegnare nuovi modelli manageriali?
Certamente, in un mondo che va verso la “share economy” o la “weconomy” , gli studenti devono imparare a relazionarsi, a lavorare d’equipe. Devo dire, però, che questi sono concetti che ancora l’italiano fa fatica ad accettare: per nostra natura noi siamo portati all’individualismo, al campanilismo. Quella , però, è la via e i giovani devono abituarsi ad accettarla.

Cosa consiglia a un neo diplomato alle prese con la scelta universitaria?
Ai miei tempi, c’erano poche università e pochi corsi. Oggi non è più così: abbiamo assistito a una parcellizzazione dell’offerta accademica che sicuramente non ha contribuito a orientare i ragazzi. Io sono convinto che la scelta debba avvenire già durante il percorso delle superiori, dal secondo o terzo anno. È in questa fase che i giovani dovrebbero incontrare il mondo accademico, incontralo per davvero e non negli open day che, alla fine, sono giornate di marketing un po’ limitate. Liuc, per favorire la consapevolezza dei ragazzi, apre le sue porte nell’estate tra il quarto e l’ultimo anno, li ospita durante le lezioni, organizza learning week, li coinvolge con iniziative sul territorio di diversa natura. A me piacerebbe che gli istituti invitassero i docenti universitari a parlare, a spiegare ai ragazzi come si studia, come si affronta il percorso universitario.

Il tempo a disposizione è scaduto. Prima di lasciarci lo prendo in contropiede con una domanda decisamente poco “pratica”.
Quale commento, in futuro, le piacerebbe ascoltare su di lei?
Il futuro rettore è spiazzato ma reagisce in pochi secondi: « Mi piacerebbe che dicessero: “È sempre stato se stesso e ha lavorato con tanta gente diversa in modo costruttivo”»

L’offerta di Liuc

Alessandra Toni
alessandra.toni@varesenews.it

Sono una redattrice anziana, protagonista della grande crescita di questa testata. La nostra forza sono i lettori a cui chiediamo un patto di alleanza per continuare a crescere insieme.

Pubblicato il 09 Luglio 2015
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